Cultura
ROMA ANTICA La decapitazione di Beatrice Cenci
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La decapitazione di Beatrice Cenci. Nobildonna romana accusata e poi giustiziata per aver ucciso il padre. Successivamente assurta al ruolo di eroina popolare.
La decapitazione di Beatrice Cenci. Nasce il 6 febbraio del 1577 a Roma. Figlia di Ersilia Santacroce e di Francesco, conte dissoluto e violento. Dopo essere rimasta orfana di mamma ancora bambina, a soli sette anni viene affidata alle monache francescane del Monastero di Santa Croce a Montecitorio assieme alla sorella Antonina. A quindici anni torna in famiglia ma trova un ambiente violento e complicato, con il padre che la insidia e la sevizia continuamente. Sposatosi in seconde nozze con Lucrezia Petroni, dopo essere stato in carcere ed essendo pesantemente indebitato, vuole impedire alla figlia di sposarsi per non dover pagarle la dote. Per riuscire nel suo scopo arriva al punto di segregarla in un piccolo castello del Cicolano chiamato la Rocca, a Petrella Salto, nel Regno di Napoli.
LE LETTERE
È il 1595: Beatrice Cenci inizia a covare un risentimento esasperato nei confronti del padre. Con l’aiuto dei domestici spedisce lettere di aiuto ai familiari. Ma, una di queste, giunge tra le mani del padre che per punirla la picchia con violenza. Quando, nel 1597, l’uomo si ritira a Petrella malato di gotta e rogna e sommerso dai debiti la vita di Beatrice peggiora ulteriormente. Esasperata dagli abusi sessuali e dalle violenze di cui è vittima decide di uccidere il padre con l’aiuto dei fratelli Bernardo e Giacomo, della matrigna Lucrezia, di un castellano e di un maniscalco. I suoi tentativi vanno a vuoto per due volte.
L’OMICIDIO
La prima volta il veleno somministrato all’uomo non sortisce l’effetto sperato. La seconda, un’imboscata messa in atto da briganti locali si rivela fallimentare. L’omicidio però non tarda ad arrivare. Stordito dall’oppio, il padre di Beatrice viene ripetutamente percosso con un mattarello e poi finito con un martello e un chiodo. Per nascondere il delitto i congiurati buttano il corpo dell’uomo dalla balaustra. Dopo le esequie il cadavere viene sepolto in una chiesa locale, mentre Beatrice Cenci e i suoi familiari tornano a Roma. Tuttavia, sospetti e voci inducono le autorità a indagare sulla morte del conte. Il duca Marzio Colonna e il vicerè del Regno di Napoli Enrico di Gusman ordinano due inchieste. Successivamente è addirittura Papa Clemente VIII° a intervenire.
LA CONFESSIONE
Dopo aver riesumato la salma due chirurghi stabiliscono che il decesso non può essere stato causato da una caduta. Come gli altri congiurati anche Beatrice dopo avere negato in un primo momento viene sottoposta alla tortura della corda, e obbligata ad ammettere l’omicidio. Quindi viene rinchiusa nel carcere di Corte Savella con la matrigna Lucrezia. A processo la ragazza viene difesa da Prospero Farinacci, uno dei più importanti avvocati dell’epoca, che accusa Francesco di avere stuprato la giovane. Il processo non va a buon fine e la richiesta di clemenza inoltrata al Papa viene rifiutata. Beatrice e Lucrezia vengono quindi condannate alla decapitazione.
L’ESECUZIONE DELLA CENCI
L’esecuzione va in scena nella piazza di Castel Sant’Angelo la mattina dell’11 settembre del 1599, davanti a numerose persone. Tra queste anche Caravaggio, che rimarrà notevolmente colpito dalla vicenda di Beatrice Cenci, e Orazio Gentileschi. La folla è talmente tanta che alcuni spettatori muoiono nella calca, altri cadono nel Tevere. Beatrice e la matrigna vengono decapitate con una spada.
LA TOMBA
Il suo cadavere, come da esplicita sua richiesta, viene sepolto in un loculo sotto una lapide senza nome (così impone la legge per i giustiziati a morte) davanti all’altare maggiore di San Pietro in Montorio. La sua tomba verrà profanata due secoli più tardi durante l’occupazione dei soldati francesi nel corso della Prima Repubblica Romana. Uno di essi apre la cassa della ragazza e preleva il suo teschio. La figura di Beatrice Cenci diverrà, nel tempo, sempre più celebre. Viene ricordata ancora oggi come una eroina popolare, personaggio simbolo contro le violenze compiute sulle donne.
Cultura
Fantarcheologia: queste città sono esistite davvero?

Fin dall’antichità l’uomo ha dedicato una parte importante della propria vita al pensiero e all’astratto. Un pensiero che ha dato vita a miti e leggende di cui parliamo e di cui cerchiamo le tracce ancora oggi, a metà del terzo decennio del nuovo millennio. È proprio questo il campo in cui si muove una branca dell’archeologia: la ricerca di testimonianze relative alle città e civiltà perdute. Oggi parleremo proprio di questo e proveremo a capire se questi miti hanno un fondo di verità.
Nel 360 a.C. Platone narrò nel suo dialogo “Timeo” di un’isola sconfinata, grande quanto Libia e Asia messe insieme, situata vicino alle Colonne d’Ercole. Più che un’isola un vero e proprio continente che noi abbiamo imparato a conoscere col nome di Atlantide. Per il filosofo greco, quella di Atlantide era una società ideale fatta di uomini lontani dalle debolezze “umane” e con una struttura formata da tre cerchi di terra e tre cerchi d’acqua. A dominare la scena erano dieci re che, sotto incarico di Poseidone, prendevano decisioni amministrative in piena armonia. Purtroppo, però, secondo la leggenda, i dieci si fecero corrompere dalla cupidigia scatenando l’ira di Zeus che riversò sulla città terremoti e diluvi che la sommersero per sempre.
Un’altra città che ha dato vita a miti e leggende e di cui si parla ancora oggi anche grazie a slot come El Dorado: The City of Gold e film come La Strada per El Dorado di Dreamworks, è la celebre “città dell’oro” Azteca. Secondo il mito l’El Dorado era una terra abbondante di ricchezze in cui l’uomo vedeva soddisfati i suoi bisogni senza sofferenza e senza bisogno di lavoro. C’è anche chi sostiene che si trovasse proprio qui la fonte dell’eterna giovinezza. Almeno è quello che credevano i conquistadores provenienti dalla Spagna che per cercarla si resero protagonisti di scorrerie e nefandezze di ogni tipo contro le popolazioni locali.
Tutti noi abbiamo ben presenti le incredibili sculture presenti nell’Isola di Pasqua, nel cuore del pacifico. In pochi sanno, invece, che la civiltà di Rapa Nui, venne fondata da navigatori polinesiani intorno al quarto secolo Dopo Cristo e che prosperò sfruttando le risorse naturali e faunistiche della zona. A conferma di questa tesi ci sono recenti scoperte archeologiche. Ne esistono poche, invece, della tesi contrapposta che sostiene che quando arrivarono sull’isola nel 1700, gli europei vi trovarono soltanto un territorio semi-deserto con una popolazione locale ridotta alla fame.
Ancora più avvolta nelle nebbie del mito è la civiltà di Lemuria che, si dice, fosse addirittura più antica di Atlantide. La leggenda di Lemuria è però molto più recente e risale al 19esimo secolo, periodo in cui alcuni studiosi ipotizzarono l’esistenza di un continente scomparso che avrebbe messo in comunicazione il Madagascar, l’India e L’Australia. Su chi la abitasse, su come fosse gestita e su quali piante e animali vivessero a Lemuria non esistono testimonianze storiche ma soltanto leggende estremamente suggestive.
Storia simile a quella di Lemuria è quella di Mu, un altro sconfinato territorio oggi scomparso e localizzato nel cuore dell’Oceano Pacifico. Anche in questo caso le principali leggende legate a Mu risalgono al 19esimo secolo e vanno ascritte all’opera di Augustus Le Plongeon, esploratore che dichiarò di aver trovato tracce Maya che parlavano di un’antica civiltà, quella di Mu appunto, che avrebbe avuto un impatto forte sulle popolazioni dell’Egitto e del Centro America. Purtroppo, però, le scritture di Le Plongeon non hanno trovato riscontri, né tantomeno prove archeologiche o testimonianze di sorta.
Non mancano miti e leggende di civiltà perdute anche nelle fredde terre del Nord e nelle regioni polari. Le due più note sono quelle legate a Iperborea e Thule, due regni di cui si hanno le prime testimonianze nelle opere di Erodoto e Plinio il Vecchio. Testimonianze che definiscono Iperborea come una terra abitata da entità vicine alle divinità e in cui regnavano serenità e ricchezza e Thule come un’isola localizzata ai confini delle terre note e popolata da popoli di guerrieri fieri e coraggiosi.
Attualità
Domenica delle Palme 2024: significato dei rametti d’ulivo benedetti
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Oggi, 24 marzo, si celebra la Domenica delle Palme, festa della tradizione cattolica che precede la Pasqua e ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. La data di questa festività varia ogni anno in base alla fine della Quaresima.
La Domenica delle Palme è la domenica che precede la Pasqua e si ispira alla festa ebraica di Sukkot, la “Festa delle Capanne”, durante la quale si ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme in sella a un asino, accolto dalla folla con rami di palma o ulivo come simbolo di vittoria e pace.
La festa è osservata da cattolici, ortodossi e alcune Chiese Protestanti, ed è nota anche come la domenica della “Passione del Signore”.
La Domenica delle Palme commemora l’ultimo ingresso di Gesù a Gerusalemme prima della sua morte, quando fu accolto dalla folla agitando rami di palma e fu salutato con Osanna. Questo segna l’inizio della Settimana Santa, i sette giorni che precedono la Pasqua e che culminano con la passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo.
Durante la celebrazione della Domenica delle Palme, si benedicono i rametti di ulivo o palma, simboli di acclamazione, trionfo e immortalità di Cristo. Questi rametti vengono poi distribuiti ai fedeli durante la messa speciale dedicata alla ricorrenza.
La liturgia della Domenica delle Palme prevede la lettura della Passione di Gesù tratta dai Vangeli di Marco, Luca, e Matteo. La lettura viene fatta da tre persone che impersonano Cristo, il cronista e il popolo, e narra l’arresto, il processo giudaico e romano, la condanna, l’esecuzione, la morte e la sepoltura di Gesù.
Dopo la messa della Domenica delle Palme, i fedeli hanno l’usanza di portare a casa i rametti di ulivo benedetti, che vengono utilizzati per benedire la tavola imbandita prima del pranzo pasquale. I rametti diventano poi dei sacramentali, protetti dal diritto canonico, e possono essere seppelliti o riportati in chiesa per essere bruciati in vista della celebrazione del Mercoledì delle ceneri. Con la Domenica delle Palme ha inizio la Settimana Santa, che si conclude con il Giovedì Santo.
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