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Cultura

ROMA ANTICA Il culto delle Ninfe

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ROMA ANTICA Il culto delle Ninfe

ROMA ANTICA Le Ninfe erano esseri divini di grado secondario e di sesso femminile. Rappresentavano le forze della natura e ne personificavano il carattere vitale e procreativo.

Con la loro invisibile presenza le Ninfe animavano ogni manifestazione della natura. In particolare delle acque, degli alberi, dei boschi, dei monti e per estensione anche di città, luoghi, regioni. Secondo Omero erano figlie di Zeus Egioco. In altre leggende erano figlie dei fiumi delle regioni in cui avevano culto. Le Ninfe non godevano dell’immortalità, Esiodo però attribuisce loro una estrema longevità. Non risiedevano nell’Olimpo ma nell’Iliade. Quando Zeus convocava tutti gli dei in assemblea solenne erano presenti anche tutte le Ninfe. Le denominazioni delle Ninfe erano fatte secondo la loro residenza, le loro funzioni, la specifica località geografica dove risiedevano.

LE VARIE NINFE

Omero e i poeti più antichi le ripartivano in quattro grandi classi: 1° le ninfe delle montagne, Oreadi o Orestiadi; 2° le Ninfe dei campi; 3° le Ninfe delle acque dolci, Naiadi; 4° le Ninfe degli alberi, Driadi, Amadriadi, Meliadi. Oltre a queste anche molte altre. Le Ninfe del mare erano le Oceanine e le Nereidi; quelle delle valli e dei boschi, Napee e Alseidi, affini alle Orestiadi. Le Idee prendevano il nome dal culto locale sul monte Ida di Creta; le Pleiadi dal monte Pelio. Per i Greci le Ninfe sono fanciulle libere e indipendenti. A volte appaiono anche come madri di eroi. Ma per lo più sono bellissime vergini.

Alle Ninfe venivano attribuiti svariati doni e poteri. Non solo quello sulla vegetazione ma anche sugli stessi uomini come divinità nutrici. In alcune leggende, come in quelle di Ermete e Dioniso, appaiono come nutrici degli dei bambini. Era quindi naturale che venissero considerate protettrici della crescita degli adolescenti. E, in particolare delle giovinette, che spesso alla vigilia delle nozze si immergevano nelle acque di talune sorgenti per conseguire la fecondità, e le donne offrivano loro sacrifici all’avvicinarsi del momento del parto. A tutte le Ninfe si attribuivano anche doni profetici. Il dono di guarire era privilegio esclusivo delle Ninfe delle acque.

IL CULTO

Il culto delle Ninfe era antichissimo e diffuso in tutto il mondo greco. Tuttavia si incontrano quasi sempre come divinità locali. Le Ninfe erano associate nel culto ad altre divinità maggiori, come Apollo, Dioniso, Ermete, Pan, più raramente Artemide e Demetra. A loro venivano offerti agnelli, animali domestici, capretti, tori e frutta, miele, rose. A Roma il numero di divinità simili alle Ninfe fu più ristretto. Si limitavano ai numi delle acque e specialmente delle sorgenti termali. I Romani assimilarono alle Ninfe greche le divinità indigene delle fonti. Le fonti con il dio Fontus avevano in Roma culto da età antica, ne è prova la festa delle Fontinalia, riportata al 13 ottobre già nel calendario di Numa Pompilio.

Nei Fasti dei Fratelli Arvali si ha menzione del loro tempio incendiato da Clodio, nel Campo Marzio, dove erano conservate le tavole censorie. Solo più tardi ebbero tempietti e ninfei, edifizi graziosi dove si celebravano le nozze. La designazione di Ninfe applicata da alcuni alle Furrine, divinità indigene romane di natura non ben chiarita, pare da respingere. Nelle arti figurative le Ninfe furono rappresentate come bellissime e snelle giovinette dalle movenze graziose, dalla testa leggiadra ornata di fiori, dalle vesti leggere e svolazzanti, raramente nude.

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Cultura

Fantarcheologia: queste città sono esistite davvero?

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Fantarcheologia: queste città sono esistite davvero?

Fin dall’antichità l’uomo ha dedicato una parte importante della propria vita al pensiero e all’astratto. Un pensiero che ha dato vita a miti e leggende di cui parliamo e di cui cerchiamo le tracce ancora oggi, a metà del terzo decennio del nuovo millennio. È proprio questo il campo in cui si muove una branca dell’archeologia: la ricerca di testimonianze relative alle città e civiltà perdute. Oggi parleremo proprio di questo e proveremo a capire se questi miti hanno un fondo di verità.

Nel 360 a.C. Platone narrò nel suo dialogo “Timeo” di un’isola sconfinata, grande quanto Libia e Asia messe insieme, situata vicino alle Colonne d’Ercole. Più che un’isola un vero e proprio continente che noi abbiamo imparato a conoscere col nome di Atlantide. Per il filosofo greco, quella di Atlantide era una società ideale fatta di uomini lontani dalle debolezze “umane” e con una struttura formata da tre cerchi di terra e tre cerchi d’acqua. A dominare la scena erano dieci re che, sotto incarico di Poseidone, prendevano decisioni amministrative in piena armonia. Purtroppo, però, secondo la leggenda, i dieci si fecero corrompere dalla cupidigia scatenando l’ira di Zeus che riversò sulla città terremoti e diluvi che la sommersero per sempre.

Un’altra città che ha dato vita a miti e leggende e di cui si parla ancora oggi anche grazie a slot come El Dorado: The City of Gold e film come La Strada per El Dorado di Dreamworks, è la celebre “città dell’oro” Azteca. Secondo il mito l’El Dorado era una terra abbondante di ricchezze in cui l’uomo vedeva soddisfati i suoi bisogni senza sofferenza e senza bisogno di lavoro. C’è anche chi sostiene che si trovasse proprio qui la fonte dell’eterna giovinezza. Almeno è quello che credevano i conquistadores provenienti dalla Spagna che per cercarla si resero protagonisti di scorrerie e nefandezze di ogni tipo contro le popolazioni locali.

Tutti noi abbiamo ben presenti le incredibili sculture presenti nell’Isola di Pasqua, nel cuore del pacifico. In pochi sanno, invece, che la civiltà di Rapa Nui, venne fondata da navigatori polinesiani intorno al quarto secolo Dopo Cristo e che prosperò sfruttando le risorse naturali e faunistiche della zona. A conferma di questa tesi ci sono recenti scoperte archeologiche. Ne esistono poche, invece, della tesi contrapposta che sostiene che quando arrivarono sull’isola nel 1700, gli europei vi trovarono soltanto un territorio semi-deserto con una popolazione locale ridotta alla fame.

Ancora più avvolta nelle nebbie del mito è la civiltà di Lemuria che, si dice, fosse addirittura più antica di Atlantide. La leggenda di Lemuria è però molto più recente e risale al 19esimo secolo, periodo in cui alcuni studiosi ipotizzarono l’esistenza di un continente scomparso che avrebbe messo in comunicazione il Madagascar, l’India e L’Australia. Su chi la abitasse, su come fosse gestita e su quali piante e animali vivessero a Lemuria non esistono testimonianze storiche ma soltanto leggende estremamente suggestive.

Storia simile a quella di Lemuria è quella di Mu, un altro sconfinato territorio oggi scomparso e localizzato nel cuore dell’Oceano Pacifico. Anche in questo caso le principali leggende legate a Mu risalgono al 19esimo secolo e vanno ascritte all’opera di Augustus Le Plongeon, esploratore che dichiarò di aver trovato tracce Maya che parlavano di un’antica civiltà, quella di Mu appunto, che avrebbe avuto un impatto forte sulle popolazioni dell’Egitto e del Centro America. Purtroppo, però, le scritture di Le Plongeon non hanno trovato riscontri, né tantomeno prove archeologiche o testimonianze di sorta.

Non mancano miti e leggende di civiltà perdute anche nelle fredde terre del Nord e nelle regioni polari. Le due più note sono quelle legate a Iperborea e Thule, due regni di cui si hanno le prime testimonianze nelle opere di Erodoto e Plinio il Vecchio. Testimonianze che definiscono Iperborea come una terra abitata da entità vicine alle divinità e in cui regnavano serenità e ricchezza e Thule come un’isola localizzata ai confini delle terre note e popolata da popoli di guerrieri fieri e coraggiosi.

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Attualità

Domenica delle Palme 2024: significato dei rametti d’ulivo benedetti

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Domenica delle Palme 2024: significato dei rametti d’ulivo benedetti

Oggi, 24 marzo, si celebra la Domenica delle Palme, festa della tradizione cattolica che precede la Pasqua e ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. La data di questa festività varia ogni anno in base alla fine della Quaresima.
La Domenica delle Palme è la domenica che precede la Pasqua e si ispira alla festa ebraica di Sukkot, la “Festa delle Capanne”, durante la quale si ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme in sella a un asino, accolto dalla folla con rami di palma o ulivo come simbolo di vittoria e pace.
La festa è osservata da cattolici, ortodossi e alcune Chiese Protestanti, ed è nota anche come la domenica della “Passione del Signore”.

La Domenica delle Palme commemora l’ultimo ingresso di Gesù a Gerusalemme prima della sua morte, quando fu accolto dalla folla agitando rami di palma e fu salutato con Osanna. Questo segna l’inizio della Settimana Santa, i sette giorni che precedono la Pasqua e che culminano con la passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo.
Durante la celebrazione della Domenica delle Palme, si benedicono i rametti di ulivo o palma, simboli di acclamazione, trionfo e immortalità di Cristo. Questi rametti vengono poi distribuiti ai fedeli durante la messa speciale dedicata alla ricorrenza.

La liturgia della Domenica delle Palme prevede la lettura della Passione di Gesù tratta dai Vangeli di Marco, Luca, e Matteo. La lettura viene fatta da tre persone che impersonano Cristo, il cronista e il popolo, e narra l’arresto, il processo giudaico e romano, la condanna, l’esecuzione, la morte e la sepoltura di Gesù.

Dopo la messa della Domenica delle Palme, i fedeli hanno l’usanza di portare a casa i rametti di ulivo benedetti, che vengono utilizzati per benedire la tavola imbandita prima del pranzo pasquale. I rametti diventano poi dei sacramentali, protetti dal diritto canonico, e possono essere seppelliti o riportati in chiesa per essere bruciati in vista della celebrazione del Mercoledì delle ceneri. Con la Domenica delle Palme ha inizio la Settimana Santa, che si conclude con il Giovedì Santo.

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