Cultura
ROMA ANTICA La battaglia di Filippi
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ROMA ANTICA La battaglia di Filippi. Nell’autunno del 42 a.C. gli eserciti di Antonio e Ottaviano e quelli dell’opposizione repubblicana di Bruto e Cassio, gli assassini di Cesare, combatterono la famosa battaglia di Filippi.
La battaglia di Filippi è uno dei più grandi scontri mai avvenuti per quantità di effettivi e unità combattenti. I due eserciti infatti disponevano di 19 legioni ciascuno. I repubblicani però con effettivi ridotti, i triumviri con effettivi sovrabbondanti (circa 100mila uomini). Più numerosa la cavalleria di Bruto e Cassio (20mila cavalieri contro i 13mila dei triumviri). Gli scontri fra i due eserciti in realtà furono due ed avvennero a distanza di una ventina di giorni l’uno dall’altro. Il primo risale al 3 ottobre quando Bruto e Cassio, consci della superiorità militare dell’avversario ma avendo il vantaggio di maggior dovizia di mezzi e vettovaglie e del dominio del mare, pensarono di fronteggiare a lungo senza combattere l’esercito rivale aspettando che soggiacesse alla penuria di vettovaglie.
Scelsero per questo le colline antistanti alla città di Filippi e dominanti la pianura omonima. Di forma triangolare e sbarrata da una linea di monti. Sull’altura settentrionale pose il campo Bruto, su quella meridionale Cassio. Tra loro, circa 1500 mt., la Via Egnazia grazie alla quale i campi comunicavano col porto di Neapolis, di fronte all’isola di Taso. Luogo dove i repubblicani avevano posto i loro magazzini generali. I due campi furono uniti da un trinceramento dinnanzi al quale scorreva il fiume Gangite che forniva l’acqua. Poi piegava verso occidente andando a finire nella piana acquitrinosa.
IN POSIZIONE SVANTAGGIOSA IL CAMPO DEI TRIUMVIRI
Ottaviano a nord di fronte a Bruto, Antonio a sud dinanzi a Cassio. Antonio pensò di aggirare le fortificazioni di Cassio dalla parte del mare. Si accese una mischia generale in seguito alla quale Cassio venne battuto e costretto a ripiegare verso est sulle colline di Filippi. Contemporaneamente Bruto rompeva le linee di Ottaviano e ne espugnava il campo. La giornata finì però vantaggiosamente per i cesariani perché Cassio, il più abile dei due capi repubblicani, ignaro del successo di Bruto si fece uccidere. All’inizio quest’ultimo seppe riparare alla perdita del collega facendo rioccupare e restaurare il campo di Cassio. Costringendo addirittura i triumviri nelle difficili condizioni di prima. Questi però in poco tempo migliorarono le proprie posizioni occupando alcune alture a sud del campo di Cassio disponendosi in una nuova linea parallela alla costa in modo da minacciare le comunicazioni di Bruto con il mare.
La partita non sarebbe forse stata perduta per Bruto se in seguito alle pressioni dei suoi ufficiali e degli alleati non si fosse convinto ad attaccare battaglia. L’ala destra di Bruto ne uscì vittoriosa ma l’ala sinistra cedette permettendo all’esercito dei triumviri la manovra di avvolgimento. Con sole quattro legioni superstiti Bruto si ritirò sui monti a nord. Il giorno successivo i suoi soldati ricusarono di continuare la lotta e Bruto, insieme ad alcuni capi repubblicani, si diede la morte.
Cultura
Fantarcheologia: queste città sono esistite davvero?

Fin dall’antichità l’uomo ha dedicato una parte importante della propria vita al pensiero e all’astratto. Un pensiero che ha dato vita a miti e leggende di cui parliamo e di cui cerchiamo le tracce ancora oggi, a metà del terzo decennio del nuovo millennio. È proprio questo il campo in cui si muove una branca dell’archeologia: la ricerca di testimonianze relative alle città e civiltà perdute. Oggi parleremo proprio di questo e proveremo a capire se questi miti hanno un fondo di verità.
Nel 360 a.C. Platone narrò nel suo dialogo “Timeo” di un’isola sconfinata, grande quanto Libia e Asia messe insieme, situata vicino alle Colonne d’Ercole. Più che un’isola un vero e proprio continente che noi abbiamo imparato a conoscere col nome di Atlantide. Per il filosofo greco, quella di Atlantide era una società ideale fatta di uomini lontani dalle debolezze “umane” e con una struttura formata da tre cerchi di terra e tre cerchi d’acqua. A dominare la scena erano dieci re che, sotto incarico di Poseidone, prendevano decisioni amministrative in piena armonia. Purtroppo, però, secondo la leggenda, i dieci si fecero corrompere dalla cupidigia scatenando l’ira di Zeus che riversò sulla città terremoti e diluvi che la sommersero per sempre.
Un’altra città che ha dato vita a miti e leggende e di cui si parla ancora oggi anche grazie a slot come El Dorado: The City of Gold e film come La Strada per El Dorado di Dreamworks, è la celebre “città dell’oro” Azteca. Secondo il mito l’El Dorado era una terra abbondante di ricchezze in cui l’uomo vedeva soddisfati i suoi bisogni senza sofferenza e senza bisogno di lavoro. C’è anche chi sostiene che si trovasse proprio qui la fonte dell’eterna giovinezza. Almeno è quello che credevano i conquistadores provenienti dalla Spagna che per cercarla si resero protagonisti di scorrerie e nefandezze di ogni tipo contro le popolazioni locali.
Tutti noi abbiamo ben presenti le incredibili sculture presenti nell’Isola di Pasqua, nel cuore del pacifico. In pochi sanno, invece, che la civiltà di Rapa Nui, venne fondata da navigatori polinesiani intorno al quarto secolo Dopo Cristo e che prosperò sfruttando le risorse naturali e faunistiche della zona. A conferma di questa tesi ci sono recenti scoperte archeologiche. Ne esistono poche, invece, della tesi contrapposta che sostiene che quando arrivarono sull’isola nel 1700, gli europei vi trovarono soltanto un territorio semi-deserto con una popolazione locale ridotta alla fame.
Ancora più avvolta nelle nebbie del mito è la civiltà di Lemuria che, si dice, fosse addirittura più antica di Atlantide. La leggenda di Lemuria è però molto più recente e risale al 19esimo secolo, periodo in cui alcuni studiosi ipotizzarono l’esistenza di un continente scomparso che avrebbe messo in comunicazione il Madagascar, l’India e L’Australia. Su chi la abitasse, su come fosse gestita e su quali piante e animali vivessero a Lemuria non esistono testimonianze storiche ma soltanto leggende estremamente suggestive.
Storia simile a quella di Lemuria è quella di Mu, un altro sconfinato territorio oggi scomparso e localizzato nel cuore dell’Oceano Pacifico. Anche in questo caso le principali leggende legate a Mu risalgono al 19esimo secolo e vanno ascritte all’opera di Augustus Le Plongeon, esploratore che dichiarò di aver trovato tracce Maya che parlavano di un’antica civiltà, quella di Mu appunto, che avrebbe avuto un impatto forte sulle popolazioni dell’Egitto e del Centro America. Purtroppo, però, le scritture di Le Plongeon non hanno trovato riscontri, né tantomeno prove archeologiche o testimonianze di sorta.
Non mancano miti e leggende di civiltà perdute anche nelle fredde terre del Nord e nelle regioni polari. Le due più note sono quelle legate a Iperborea e Thule, due regni di cui si hanno le prime testimonianze nelle opere di Erodoto e Plinio il Vecchio. Testimonianze che definiscono Iperborea come una terra abitata da entità vicine alle divinità e in cui regnavano serenità e ricchezza e Thule come un’isola localizzata ai confini delle terre note e popolata da popoli di guerrieri fieri e coraggiosi.
Attualità
Domenica delle Palme 2024: significato dei rametti d’ulivo benedetti
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Oggi, 24 marzo, si celebra la Domenica delle Palme, festa della tradizione cattolica che precede la Pasqua e ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. La data di questa festività varia ogni anno in base alla fine della Quaresima.
La Domenica delle Palme è la domenica che precede la Pasqua e si ispira alla festa ebraica di Sukkot, la “Festa delle Capanne”, durante la quale si ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme in sella a un asino, accolto dalla folla con rami di palma o ulivo come simbolo di vittoria e pace.
La festa è osservata da cattolici, ortodossi e alcune Chiese Protestanti, ed è nota anche come la domenica della “Passione del Signore”.
La Domenica delle Palme commemora l’ultimo ingresso di Gesù a Gerusalemme prima della sua morte, quando fu accolto dalla folla agitando rami di palma e fu salutato con Osanna. Questo segna l’inizio della Settimana Santa, i sette giorni che precedono la Pasqua e che culminano con la passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo.
Durante la celebrazione della Domenica delle Palme, si benedicono i rametti di ulivo o palma, simboli di acclamazione, trionfo e immortalità di Cristo. Questi rametti vengono poi distribuiti ai fedeli durante la messa speciale dedicata alla ricorrenza.
La liturgia della Domenica delle Palme prevede la lettura della Passione di Gesù tratta dai Vangeli di Marco, Luca, e Matteo. La lettura viene fatta da tre persone che impersonano Cristo, il cronista e il popolo, e narra l’arresto, il processo giudaico e romano, la condanna, l’esecuzione, la morte e la sepoltura di Gesù.
Dopo la messa della Domenica delle Palme, i fedeli hanno l’usanza di portare a casa i rametti di ulivo benedetti, che vengono utilizzati per benedire la tavola imbandita prima del pranzo pasquale. I rametti diventano poi dei sacramentali, protetti dal diritto canonico, e possono essere seppelliti o riportati in chiesa per essere bruciati in vista della celebrazione del Mercoledì delle ceneri. Con la Domenica delle Palme ha inizio la Settimana Santa, che si conclude con il Giovedì Santo.
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