Ultime Notizie Roma
ROMA Il Tevere minaccia esondazioni e alluvioni: i rischi
ROMA Il Tevere minaccia esondazioni e alluvioni: i rischi
<strong>ROMA Il Tevere minaccia esondazioni e alluvioni. A dirlo ieri, nella sala polifunzionale di Palazzo Chigi, l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino Centrale l’Ispra e la Protezione civile, presentando il primo rapporto sullo stato del Fiume.
Di cui le tante “manine” e le lapidi di marmo sparse per la città ricordano i livelli di piena. Presenti sui muri delle chiese e dei palazzi del centro storico, permettono di ben comprendere quale sia la potenza distruttrice del fiume. Numerose a Santa Maria sopra Minerva, vicino al Pantheon, targhe si trovano anche fuori le mura di Castel Sant’Angelo. Ma, anche se nel corso dei secoli i romani hanno imparato come arginarlo, non si può abbassare la guardia contro il rischio piene e alluvioni che potrebbe colpire 250mila persone che vivono e lavorano a Roma. La città, hanno detto gli Stati generali del Tevere, è una delle più esposte d’Europa con il proprio fiume. Ogni pericolo va dunque messo in conto.
A tal proposito, sottolinea Erasmo D’ Angelis, segretario generale dell’Autorità di distretto idrografico dell’Appennino centrale, “va riscoperta la cultura del fiume“. Non si può pensare infatti di risolvere con i muraglioni eretti dopo le migliaia di vittime avutesi con la piena del 1870. A testimoniarlo le immagini, trasmesse durante il convegno, dell’inondazione del 1937. Servono quasi 700 milioni di euro per mettere al riparo la Capitale da un dissesto idrogeologico. Se infatti si verificasse nuovamente un evento drammatico come quello del ’37, si avrebbero danni per 27.873 milioni di euro. Quindi, invoca D’Angelis, “serve una grande collaborazione tra tutte le istituzioni“.
“L’amministrazione è ben consapevole del rischio idrogeologico e del dissesto che può subire il territorio“, rilancia l’assessora Margherita Gatta, elencando le misure già prese dal Comune. Dalla nascita dell’ufficio Tevere presso la direzione generale del Campidoglio, all’istituzione dell’ufficio per il rischio idrogeologico presso il Dipartimento Simu. Ma anche la stipula del contratto di fiume da Castel Giubileo alla foce del Tevere. Quest’ultimo fa parte di un gruppo 11 finora partiti, 5 dei quali nel Lazio. Senza dimenticare la sinergia attivata con la Capitaneria di porto per la rimozione dei relitti.
Ben 22 infatti le imbarcazioni affondate sotto l’occhio della Capitaneria, dalla diga di Castel Giubileo a Fiumicino. Tra gli interventi già partiti quello dello scorso ottobre, come ha ricordato il comandante Marini, la rimozione di una nave da diporto lunga 35 metri e semi affondata. Operazione finanziata in ultimo dalla proprietà del natante. Adesso ci si dedicherà alle priorità, individuate dopo la realizzazione del censimento. I prossimi interventi si svolgeranno quindi a Fiumicino.
Durante l’appuntamento sono stati inoltre stimati i danni che una piena potrebbe causare. Dai 890 beni culturali a rischio nel bacino, la gran parte dei quali nel centro di Roma. Se poi dovesse riverificarsi un evento come quello del 28 dicembre del 1937, il danno per la Capitale sarebbe pari a 27.873 milioni di euro. Ciò significherebbe, secondo il Segretario generale dell’Autorità di Bacino, che “andrebbe in bancarotta il Campidoglio e forse anche lo Stato, senza pensare al costo principale, quello in termini di perdita di vite umane“. Per scongiurare un simile scenario, non bisogna lasciare nulla al caso, dal sistema fognario ai corsi d’acqua minori.
“L’impatto del rischio idraulico a Roma – fa notare Ferranti, dirigente dell’autorità di bacino – va calcolato anche sulla base della presenza dei bacini minori dove una piena si puo’ verificare in tempi molto brevi. Tre ore di pioggia possono mettere in crisi bacini come nella zona di Tor Sapienza dove l’urbanizzazione violenta ha martorizzato, ingabbiato, impermeabilizzato il corso d’acqua“. I 10 milioni di euro stanziati dal Ministero dell’Ambiente hanno comunque permesso di pianificare interventi sui corsi d’acqua minori. I vari fossi Galeria, Vallerano, Almone, Tor Sapienza, San Vittorino e Prima Porta. Interventi prioritari perchè “si e’ capito che con una semplice attività di progettazione di manutenzione si riesce a ridurre significativamente il rischio idraulico“.
Spendendo 700 milioni, si risparmierebbero costi, in caso di piena, equivalenti ad un’intera manovra finanziaria. Per far funzionare questa prevenzione, è necessario agire sulla consapevolezza. Riscoprire una cultura fluviale passando anche per i contratti di fiume. Bisogna poi dotarsi di “una filiera istituzionale che creda nel progetto di messa in sicurezza del Tevere” ha ricordato D’Angelis. “La filiera parte dal governo ed arriva all’ultimo dei municipi di Roma. Non abbiamo bisogno di una grande opere, ma di un grande lavoro di manutenzione, riqualificazione, rinaturalizzazione, depurazione delle acque nei tratti urbani. Perchè Roma vuole vivere il fiume esattamente come le altre capitali europee“. Vale a dire, in piena sicurezza.