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CASO CUCCHI Le nuove verità degli indagati sui depistaggi
CASO CUCCHI Le nuove verità degli indagati sugli arresti e i depistaggi oggi in aula.
<strong>CASO CUCCHI Le nuove verità in aula con la versione dei nuovi indagati su arresto e depistaggi. Nel processo ai cinque carabinieri imputati a Roma testimoniano gli indagati nel nuovo filone di indagine. Un filone legato ai presunti depistaggi messi in atto da esponenti dell’Arma. Parla Massimiliano Colombo Labriola, comandante della stazione Tor Sapienza, indagato per falso insieme ad altre sei persone, cinque delle quali carabinieri. Colombo ripercorre la vicenda dalla notte dell’arresto del giovane. Colombo non vide Cucchi quella sera, né lo vide nei giorni successivi. Dopo la morte del geometra romano, avvenuta il 22 ottobre, una serie di richieste arrivarono sulla vicenda dai suoi superiori. A cominciare dalle relazioni chieste dal comando provinciale ai due militari Gianluca Colicchio e Francesco Di Sano, delle quali finirono poi agli atti doppie versioni, modificate su ordine di esponenti dell’Arma, e nel caso di Colicchio a sua insaputa.
“SEMBRAVA UNA RIUNIONE DEGLI ALCOLISTI ANONIMI”
La mattina del 30 ottobre del 2009, quando la morte di Stefano Cucchi era diventato un caso mediatico, ci fu una riunione presso la sede del Comando provinciale di Roma, in piazza San Lorenzo in Lucina, alla presenza del generale Vittorio Tomasone e del colonnello Alessandro Casarsa, all’epoca a capo del Gruppo Roma, con tutti i militari in qualche modo coinvolti nella vicenda. Ha dichiarato Colombo: “Per come si svolse, mi sembrò una riunione di alcolisti anonimi. L’incontro, non ufficiale, durò meno di un’ora, e nulla fu verbalizzato. Tomasone disse ‘bravo’ a Colicchio che chiamò il 118 quando vide che Cucchi, portato in cella di sicurezza, non stava bene mentre rimproverò Mandolini che era intervenuto un paio di volte per supportare un suo collega che non era stato capace di spiegare con chiarezza il suo ruolo nella vicenda. Tomasone zittì Mandolini dicendogli che il carabiniere doveva esprimersi con le sue parole perchè se non fosse stato in grado di spiegarsi con un superiore certamente non si sarebbe spiegato neanche con un magistrato. In quella sede non si parlò della doppia annotazione”.
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