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Cultura

ROMA ANTICA Il culto di Anna Perenna

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ROMA ANTICA Il culto di Anna Perenna

ROMA A due passi da Piazza Euclide è stato ritrovato un sito davvero particolare e di grande interesse per la storia dell’Urbe. Un luogo ancora oggi quasi del tutto ignoto agli stessi abitanti della capitale: la fonte di Anna Perenna.

Nel 1999 durante le operazioni di scavo eseguite in Via Guidobaldo Del Monte per la realizzazione di un parcheggio sotterraneo vennero ritrovate un’antica fonte e una cisterna collegata. All’interno monete, lucerne, un calderone in rame ed alcuni contenitori in piombo, che racchiudevano delle figure antropomorfe utilizzate per la magia nera. Gli uomini della Soprintendenza si interrogarono subito sul monumento che avevano davanti. Ma a dare loro un aiuto fu proprio un’iscrizione posta sulla fonte. Si trattava di una dedica realizzata da un liberto in onore delle ninfe consacrate ad Anna Perenna.

A questa si sommava un’altra iscrizione realizzata da Svetonio Germanico e dalla moglie Licinia. Un ringraziamento ad Anna Perenna per la loro seconda vittoria a un certamen, un concorso probabilmente di prosa o di poesia. Quello che gli archeologi poterono ammirare per la prima volta era dunque il luogo di culto realizzato per quell’arcaica divinità, quella giovane ninfa di cui gli storici conoscevano l’esistenza dai calendari romani ma che non vantava un monumento o un sito a lei dedicati. Ma chi era Anna Perenna? Sicuramente si trattava di una divinità pagana di un culto appartenente al periodo pre-repubblicano. Ovidio ci informa che la giovane Anna era la sorella di Didone.

Dopo il suicidio della regina, Anna decise di fuggire dalla città di Cartagine. Salutate le spoglie della sorella si imbarcò su una nave. Approdò prima a Malta e poi sulle coste del Laurentum, quel Lazio che aveva accolto Enea. La gelosia di Lavinia, giovane moglie dell’eroe troiano, spinse però Anna a fuggire causandole la morte per affogamento nel fiume. La sua dipartita promosse il culto della giovane vergine come ninfa del fiume Numicio che, scorrendo instancabilmente e senza sosta, diede l’appellativo di Perenne, e poi Perenna, alla ninfa. La scoperta della fonte segnò un evento importante per l’archeologia.

MONTI PARIOLI

Sappiamo infatti che questo sito, oggi 10 metri sotto il piano stradale, era onorato e celebrato. Ed era così famoso da essere visitato dalla popolazione locale per ben dieci secoli consecutivi, dal IV secolo a.C. al VI secolo d.C.. La fonte di Anna Perenna si trovava sui Monti Parioli, all’epoca costellati di alberi di quercia. Una zona boscosa che si estendeva dal fiume Tevere per diversi ettari. E che, ogni 15 marzo, veniva invasa da uomini e donne che si recavano presso la fonte per festeggiare il culto della divinità. Il termine Anna, che deriva dal sanscrito Ann e significa ‘cibo’, tanto dice della figura della dea che era legata alla rigenerazione, alla primavera e al culto della terra.

Il giorno dei festeggiamenti in suo onore era il 15 marzo, l’inizio della primavera. Giorno importante per la civiltà romana ancora così collegata all’agricoltura e alla Madre Terra. In quella giornata le persone lasciavano Roma e si recavano alla fonte sacra, alimentata da una polla sorgiva sotterranea, per la celebrazione del culto. Gruppi di uomini e donne offrivano pigne, simbolo di fecondità, e gusci di uovo, simbolo di fertilità. Quando venne scoperto il sito vennero trovati residui di gusci di uova e di pigne nella cisterna nonché monete di età augustea, che venivano lanciate nella fonte in segno di buon auspicio.

LA FESTA

Dopo le celebrazioni alla divinità, uomini e donne si dedicavano al canto, al ballo, al vino in una festa licenziosa che, come ricorda Ovidio, prevedeva “ragazze agghindate con i capelli al vento” e, a finire, la pratica dell’amore libero. La fontana è rimasta in uso per molti secoli. Ciò rappresenta una rarità per il mondo romano che accoglieva le nuove divinità, anche orientali, senza alcun problema relegando nel mondo dell’oblio gli dei più arcaici. Uno dei motivi per il quale questo avvenne è che la fonte di Anna Perenna era un luogo dove si svolgevano pratiche di magia nera, arte talmente in uso a Roma che Silla nell’81 a.C. la proibì con la Lex Cornelia Sullæ de sicariis et veneficis.

Sappiamo che vi era questo uso perché nella fonte sono state rinvenute lucerne mai utilizzate, contenenti tavolette di piombo in cui erano trascritte 24 defixiones, maledizioni lanciate ad amanti, mariti, congiunti e addirittura a un arbitro. Qui venne ritrovato anche un cilindro contenente una figura antropomorfa (un impasto di acqua, farina e miele) con la testa all’ingiù. Tutti gli oggetti recuperati durante lo scavo si trovano esposti alle Terme di Diocleziano.

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Cultura

Fantarcheologia: queste città sono esistite davvero?

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Fantarcheologia: queste città sono esistite davvero?

Fin dall’antichità l’uomo ha dedicato una parte importante della propria vita al pensiero e all’astratto. Un pensiero che ha dato vita a miti e leggende di cui parliamo e di cui cerchiamo le tracce ancora oggi, a metà del terzo decennio del nuovo millennio. È proprio questo il campo in cui si muove una branca dell’archeologia: la ricerca di testimonianze relative alle città e civiltà perdute. Oggi parleremo proprio di questo e proveremo a capire se questi miti hanno un fondo di verità.

Nel 360 a.C. Platone narrò nel suo dialogo “Timeo” di un’isola sconfinata, grande quanto Libia e Asia messe insieme, situata vicino alle Colonne d’Ercole. Più che un’isola un vero e proprio continente che noi abbiamo imparato a conoscere col nome di Atlantide. Per il filosofo greco, quella di Atlantide era una società ideale fatta di uomini lontani dalle debolezze “umane” e con una struttura formata da tre cerchi di terra e tre cerchi d’acqua. A dominare la scena erano dieci re che, sotto incarico di Poseidone, prendevano decisioni amministrative in piena armonia. Purtroppo, però, secondo la leggenda, i dieci si fecero corrompere dalla cupidigia scatenando l’ira di Zeus che riversò sulla città terremoti e diluvi che la sommersero per sempre.

Un’altra città che ha dato vita a miti e leggende e di cui si parla ancora oggi anche grazie a slot come El Dorado: The City of Gold e film come La Strada per El Dorado di Dreamworks, è la celebre “città dell’oro” Azteca. Secondo il mito l’El Dorado era una terra abbondante di ricchezze in cui l’uomo vedeva soddisfati i suoi bisogni senza sofferenza e senza bisogno di lavoro. C’è anche chi sostiene che si trovasse proprio qui la fonte dell’eterna giovinezza. Almeno è quello che credevano i conquistadores provenienti dalla Spagna che per cercarla si resero protagonisti di scorrerie e nefandezze di ogni tipo contro le popolazioni locali.

Tutti noi abbiamo ben presenti le incredibili sculture presenti nell’Isola di Pasqua, nel cuore del pacifico. In pochi sanno, invece, che la civiltà di Rapa Nui, venne fondata da navigatori polinesiani intorno al quarto secolo Dopo Cristo e che prosperò sfruttando le risorse naturali e faunistiche della zona. A conferma di questa tesi ci sono recenti scoperte archeologiche. Ne esistono poche, invece, della tesi contrapposta che sostiene che quando arrivarono sull’isola nel 1700, gli europei vi trovarono soltanto un territorio semi-deserto con una popolazione locale ridotta alla fame.

Ancora più avvolta nelle nebbie del mito è la civiltà di Lemuria che, si dice, fosse addirittura più antica di Atlantide. La leggenda di Lemuria è però molto più recente e risale al 19esimo secolo, periodo in cui alcuni studiosi ipotizzarono l’esistenza di un continente scomparso che avrebbe messo in comunicazione il Madagascar, l’India e L’Australia. Su chi la abitasse, su come fosse gestita e su quali piante e animali vivessero a Lemuria non esistono testimonianze storiche ma soltanto leggende estremamente suggestive.

Storia simile a quella di Lemuria è quella di Mu, un altro sconfinato territorio oggi scomparso e localizzato nel cuore dell’Oceano Pacifico. Anche in questo caso le principali leggende legate a Mu risalgono al 19esimo secolo e vanno ascritte all’opera di Augustus Le Plongeon, esploratore che dichiarò di aver trovato tracce Maya che parlavano di un’antica civiltà, quella di Mu appunto, che avrebbe avuto un impatto forte sulle popolazioni dell’Egitto e del Centro America. Purtroppo, però, le scritture di Le Plongeon non hanno trovato riscontri, né tantomeno prove archeologiche o testimonianze di sorta.

Non mancano miti e leggende di civiltà perdute anche nelle fredde terre del Nord e nelle regioni polari. Le due più note sono quelle legate a Iperborea e Thule, due regni di cui si hanno le prime testimonianze nelle opere di Erodoto e Plinio il Vecchio. Testimonianze che definiscono Iperborea come una terra abitata da entità vicine alle divinità e in cui regnavano serenità e ricchezza e Thule come un’isola localizzata ai confini delle terre note e popolata da popoli di guerrieri fieri e coraggiosi.

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Domenica delle Palme 2024: significato dei rametti d’ulivo benedetti

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Domenica delle Palme 2024: significato dei rametti d’ulivo benedetti

Oggi, 24 marzo, si celebra la Domenica delle Palme, festa della tradizione cattolica che precede la Pasqua e ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. La data di questa festività varia ogni anno in base alla fine della Quaresima.
La Domenica delle Palme è la domenica che precede la Pasqua e si ispira alla festa ebraica di Sukkot, la “Festa delle Capanne”, durante la quale si ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme in sella a un asino, accolto dalla folla con rami di palma o ulivo come simbolo di vittoria e pace.
La festa è osservata da cattolici, ortodossi e alcune Chiese Protestanti, ed è nota anche come la domenica della “Passione del Signore”.

La Domenica delle Palme commemora l’ultimo ingresso di Gesù a Gerusalemme prima della sua morte, quando fu accolto dalla folla agitando rami di palma e fu salutato con Osanna. Questo segna l’inizio della Settimana Santa, i sette giorni che precedono la Pasqua e che culminano con la passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo.
Durante la celebrazione della Domenica delle Palme, si benedicono i rametti di ulivo o palma, simboli di acclamazione, trionfo e immortalità di Cristo. Questi rametti vengono poi distribuiti ai fedeli durante la messa speciale dedicata alla ricorrenza.

La liturgia della Domenica delle Palme prevede la lettura della Passione di Gesù tratta dai Vangeli di Marco, Luca, e Matteo. La lettura viene fatta da tre persone che impersonano Cristo, il cronista e il popolo, e narra l’arresto, il processo giudaico e romano, la condanna, l’esecuzione, la morte e la sepoltura di Gesù.

Dopo la messa della Domenica delle Palme, i fedeli hanno l’usanza di portare a casa i rametti di ulivo benedetti, che vengono utilizzati per benedire la tavola imbandita prima del pranzo pasquale. I rametti diventano poi dei sacramentali, protetti dal diritto canonico, e possono essere seppelliti o riportati in chiesa per essere bruciati in vista della celebrazione del Mercoledì delle ceneri. Con la Domenica delle Palme ha inizio la Settimana Santa, che si conclude con il Giovedì Santo.

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