Cultura
ROMA ANTICA Il culto di Men
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ROMA ANTICA Men, conosciuto anche come Men Ascaënus, è una divinità lunare maschile il cui culto ha interessato l’area occidentale della penisola anatolica nel periodo antico. Indicato come il custode dei mesi.
Etimologicamente il nome del dio Men deriva dalla radice indo-ariana utilizzata per indicare l’astro notturno, me, che si riferisce anche al concetto di misurare. È interessante osservare che dal nome del dio potrebbe essere derivato quello della Luna in inglese e tedesco, rispettivamente Moon (Mona in inglese arcaico) e Mond (Mene in gotico). Poiché la Luna nel tempo muta aspetto, cresce fino a diventare piena e poi si riduce fino a scomparire, al suo culto si associò in differenti culture quello della morte. Le divinità lunari, spesso ctonie e funerarie. E anche Men era venerato come divinità della morte.
Il simbolismo lunare domina l’iconografia del dio, abitualmente raffigurato con il berretto frigio, una tunica con cinta e dei corni aperti sulle spalle, a somiglianza di una luna crescente. Quasi sempre raffigurato in piedi o a cavallo. Cavalca cavalli ma anche arieti, galli, leoni, pantere o tori. La sua iconografia ricorda Mitra, che indossa un berretto frigio ed è raffigurato con un toro e con i simboli del Sole e della Luna. Raramente è raffigurato a mani libere: in genere tiene uno scettro, una patera (una coppa sacrificale) o una pigna. Quando ha le mani libere una di esse poggia sul fianco all’altezza dell’anca. In altre raffigurazioni calpesta la testa di un bue.
Nel periodo dell’imperatore Augusto gli associarono l’idea della Vittoria e anche nell’iconografia tradizionale cominciò a essere accompagnato da una Nike. L’effigie del dio comparve su numerose monete votive. I Romani veneravano una divinità lunare femminile, Luna, ed adottarono di volta in volta soluzioni differenti per indicare il dio. Su alcune monete riportarono il nome frigio, su altre quello greco. Durante il regno di Antonino Pio in alcune monete era indicato come Mensis. Infine si adottò la formula LUS, Lunae Votum Solvit, che permetteva di non indicare esplicitamente il genere del dio.
CENNI STORICI
Il culto di Men era probabilmente derivato da quello del dio Sin, presente nella mitologia mesopotamica. Alcuni scrittori descrivono Men come una divinità locale dei Frigi. Il Dr Mehmet Taşlıalan che ha studiato le rovine di Antiochia di Pisidia ha sottolineato che la popolazione che si era stabilita sull’acropoli durante il periodo della colonizzazione greca venerava Men Askaenos come divinità protettrice della città.
E. Lane suggerisce che i Romani possano aver fondato una loro colonia nei pressi di Antiochia proprio per sfruttare la propaganda che sarebbe derivata dal culto del dio Men. Nel luogo dove fu edificato il tempio dedicato ad Augusto sono presenti segni del culto di Men come bucrania (teschi di buoi) scolpiti sulle mura in pietra. Anche il tempio imperiale reca sul fregio teste di buoi e ghirlande. L’Historia Augusta riporta che Caracalla venne assassinato nel 217 mentre era diretto a Carre per venerare Lunus. Inoltre riporta l’opinione secondo cui chi avesse venerato la divinità lunare riferendosi a essa al femminile sarebbe stato soggetto alla volontà delle donne.
Chi invece si fosse riferito a essa al maschile avrebbe dominato la propria vita. Alcuni studiosi hanno suggerito che Lunus possa essere la forma latinizzata di Men, altri lo hanno associato al dio Sin. In epoche successive lo identificarono con Attis, in Frigia, e con Sabazio, in Tracia. Potrebbe aver condiviso una comune origine anche con la divinità lunare Mah, dello zoroastrismo. Il culto di Men fu soppiantato dal Cristianesimo. La stessa Antiochia di Pisidia fu un’importante tappa della predicazione di san Paolo all’inizio dell’era cristiana.
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Cultura
Fantarcheologia: queste città sono esistite davvero?
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Fin dall’antichità l’uomo ha dedicato una parte importante della propria vita al pensiero e all’astratto. Un pensiero che ha dato vita a miti e leggende di cui parliamo e di cui cerchiamo le tracce ancora oggi, a metà del terzo decennio del nuovo millennio. È proprio questo il campo in cui si muove una branca dell’archeologia: la ricerca di testimonianze relative alle città e civiltà perdute. Oggi parleremo proprio di questo e proveremo a capire se questi miti hanno un fondo di verità.
Nel 360 a.C. Platone narrò nel suo dialogo “Timeo” di un’isola sconfinata, grande quanto Libia e Asia messe insieme, situata vicino alle Colonne d’Ercole. Più che un’isola un vero e proprio continente che noi abbiamo imparato a conoscere col nome di Atlantide. Per il filosofo greco, quella di Atlantide era una società ideale fatta di uomini lontani dalle debolezze “umane” e con una struttura formata da tre cerchi di terra e tre cerchi d’acqua. A dominare la scena erano dieci re che, sotto incarico di Poseidone, prendevano decisioni amministrative in piena armonia. Purtroppo, però, secondo la leggenda, i dieci si fecero corrompere dalla cupidigia scatenando l’ira di Zeus che riversò sulla città terremoti e diluvi che la sommersero per sempre.
Un’altra città che ha dato vita a miti e leggende e di cui si parla ancora oggi anche grazie a slot come El Dorado: The City of Gold e film come La Strada per El Dorado di Dreamworks, è la celebre “città dell’oro” Azteca. Secondo il mito l’El Dorado era una terra abbondante di ricchezze in cui l’uomo vedeva soddisfati i suoi bisogni senza sofferenza e senza bisogno di lavoro. C’è anche chi sostiene che si trovasse proprio qui la fonte dell’eterna giovinezza. Almeno è quello che credevano i conquistadores provenienti dalla Spagna che per cercarla si resero protagonisti di scorrerie e nefandezze di ogni tipo contro le popolazioni locali.
Tutti noi abbiamo ben presenti le incredibili sculture presenti nell’Isola di Pasqua, nel cuore del pacifico. In pochi sanno, invece, che la civiltà di Rapa Nui, venne fondata da navigatori polinesiani intorno al quarto secolo Dopo Cristo e che prosperò sfruttando le risorse naturali e faunistiche della zona. A conferma di questa tesi ci sono recenti scoperte archeologiche. Ne esistono poche, invece, della tesi contrapposta che sostiene che quando arrivarono sull’isola nel 1700, gli europei vi trovarono soltanto un territorio semi-deserto con una popolazione locale ridotta alla fame.
Ancora più avvolta nelle nebbie del mito è la civiltà di Lemuria che, si dice, fosse addirittura più antica di Atlantide. La leggenda di Lemuria è però molto più recente e risale al 19esimo secolo, periodo in cui alcuni studiosi ipotizzarono l’esistenza di un continente scomparso che avrebbe messo in comunicazione il Madagascar, l’India e L’Australia. Su chi la abitasse, su come fosse gestita e su quali piante e animali vivessero a Lemuria non esistono testimonianze storiche ma soltanto leggende estremamente suggestive.
Storia simile a quella di Lemuria è quella di Mu, un altro sconfinato territorio oggi scomparso e localizzato nel cuore dell’Oceano Pacifico. Anche in questo caso le principali leggende legate a Mu risalgono al 19esimo secolo e vanno ascritte all’opera di Augustus Le Plongeon, esploratore che dichiarò di aver trovato tracce Maya che parlavano di un’antica civiltà, quella di Mu appunto, che avrebbe avuto un impatto forte sulle popolazioni dell’Egitto e del Centro America. Purtroppo, però, le scritture di Le Plongeon non hanno trovato riscontri, né tantomeno prove archeologiche o testimonianze di sorta.
Non mancano miti e leggende di civiltà perdute anche nelle fredde terre del Nord e nelle regioni polari. Le due più note sono quelle legate a Iperborea e Thule, due regni di cui si hanno le prime testimonianze nelle opere di Erodoto e Plinio il Vecchio. Testimonianze che definiscono Iperborea come una terra abitata da entità vicine alle divinità e in cui regnavano serenità e ricchezza e Thule come un’isola localizzata ai confini delle terre note e popolata da popoli di guerrieri fieri e coraggiosi.
Attualità
Domenica delle Palme 2024: significato dei rametti d’ulivo benedetti
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Oggi, 24 marzo, si celebra la Domenica delle Palme, festa della tradizione cattolica che precede la Pasqua e ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. La data di questa festività varia ogni anno in base alla fine della Quaresima.
La Domenica delle Palme è la domenica che precede la Pasqua e si ispira alla festa ebraica di Sukkot, la “Festa delle Capanne”, durante la quale si ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme in sella a un asino, accolto dalla folla con rami di palma o ulivo come simbolo di vittoria e pace.
La festa è osservata da cattolici, ortodossi e alcune Chiese Protestanti, ed è nota anche come la domenica della “Passione del Signore”.
La Domenica delle Palme commemora l’ultimo ingresso di Gesù a Gerusalemme prima della sua morte, quando fu accolto dalla folla agitando rami di palma e fu salutato con Osanna. Questo segna l’inizio della Settimana Santa, i sette giorni che precedono la Pasqua e che culminano con la passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo.
Durante la celebrazione della Domenica delle Palme, si benedicono i rametti di ulivo o palma, simboli di acclamazione, trionfo e immortalità di Cristo. Questi rametti vengono poi distribuiti ai fedeli durante la messa speciale dedicata alla ricorrenza.
La liturgia della Domenica delle Palme prevede la lettura della Passione di Gesù tratta dai Vangeli di Marco, Luca, e Matteo. La lettura viene fatta da tre persone che impersonano Cristo, il cronista e il popolo, e narra l’arresto, il processo giudaico e romano, la condanna, l’esecuzione, la morte e la sepoltura di Gesù.
Dopo la messa della Domenica delle Palme, i fedeli hanno l’usanza di portare a casa i rametti di ulivo benedetti, che vengono utilizzati per benedire la tavola imbandita prima del pranzo pasquale. I rametti diventano poi dei sacramentali, protetti dal diritto canonico, e possono essere seppelliti o riportati in chiesa per essere bruciati in vista della celebrazione del Mercoledì delle ceneri. Con la Domenica delle Palme ha inizio la Settimana Santa, che si conclude con il Giovedì Santo.
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