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In nome del Popolo Italiano

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In nome del Popolo Italiano

Il 2 giugno 1946 il popolo italiano è chiamato al voto per scegliere tra Monarchia e Repubblica.

Al referendum il 54,3% del popolo italiano sceglie la Repubblica. Con un margine di appena due milioni di voti è decretata la fine della Monarchia. Per la prima volta sono ammesse al voto anche le donne. Scoppia la polemica su possibili brogli. Umberto II però, diventato sovrano il mese precedente la votazione referendaria in seguito all’abdicazione del padre Vittorio Emanuele III, accetta il verdetto delle urne e lascia l’Italia con la sua famiglia dando inizio a un lungo esilio. Intorno alla proclamazione della Repubblica si addensano ancora oggi molti interrogativi.

Dopo la guerra e venti anni di regime totalitario il 2 giugno 1946 l’Italia è chiamata a una doppia scelta. Quale dovrà essere la forma dello Stato (monarchico o repubblicano) e se votare i partiti che faranno parte dell’Assemblea Costituente. Era molto tempo che non si votava in maniera democratica. Senza tener conto dei plebisciti del ’29 e del ’34 l’ultima volta che il popolo italiano si era recato al voto era il 1924. Inoltre per la prima volta le donne hanno diritto di voto. La legge per il voto alle donne fu approvata nel gennaio del 1945.

Nel ripercorrere quei giorni di incertezza e tensione emergono alcune incongruenze. Oscillazioni di voti, reticenza nel parlarne, ritardi. Tutto farebbe pensare che sia successo qualcosa di poco chiaro. Dove sono finite le circa 1.500.000 schede bianche e nulle e perché il governo proclamò la Repubblica prima del verdetto della Cassazione? Perché le schede votate sono state velocemente bruciate? Perché De Gasperi scrisse al ministro della Real Casa Falcone Lucifero il 4 giugno dicendo di temere una vittoria della Monarchia?

All’inizio dello spoglio l’esito della votazione sembrava favorevole alla Monarchia ma poi la situazione si capovolge. Il risultato è in bilico. Il ministro Giuseppe Romita fa una conferenza stampa in cui si limita a fornire il numero dei voti ottenuti dalle parti: 12.182.155 la Repubblica, 10.362.709 la Monarchia. Lo stesso giorno De Gasperi sale al Quirinale. I Savoia sembrano disposti ad accettare il risultato del voto del popolo italiano ma due giorni dopo un gruppo di giuristi di Padova presenta un ricorso contro il risultato elettorale. Tutto torna ancora in ballo.

Il 5 giugno 1946 il ministro di Grazia e Giustizia nonché segretario del PCI, Palmiro Togliatti, chiama il suo segretario Massimo Caprara e scrive una lettera al presidente della corte di Cassazione Giuseppe Pagano. Lettera in cui lo invita a non dare il risultato del referendum. Interrogato da Caprara sul perché di quella decisione Togliatti gli dice: “Questa Repubblica è come un parto difficile e, come tutti i parti difficili, va aiutato”. Il 10 giugno 1946 nel Salone della Lupa Montecitorio la Corte di Cassazione per voce del  Presidente Pagano legge i voti ottenuti dall’una e dall’altra parte senza però proclamare la vittoria della Repubblica come tutti si aspettavano.

Il modo in cui Pagano gestì quella situazione fu un eccesso di formalismo oppure il suggerimento di Togliatti aveva una qualche valenza politica? Anche lo stesso De Gasperi, di cui il giovane Andreotti era il segretario, si disse “meravigliatissimo” della condotta di Pagano e si recò immediatamente al Quirinale da Re Umberto II. Per il governo i dubbi non esistevano. I risultati portano al passaggio di poteri dal Re al Presidente del Consiglio ed alla nascita della Repubblica. Ma Umberto II non riconosce il verdetto elettorale, definendo il risultato ancora provvisorio.

Inizia così un braccio di ferro tra governo e Casa Reale. Nel consiglio di ministri tutti sono favorevoli a un immediato passaggio di poteri. Qualcuno cerca una mediazione con i Savoia; altri, come Togliatti, seguono una linea più intransigente. Dal punto di vista giuridico il Re aveva ragione, era stato presentato un ricorso e bisognava aspettare il verdetto definitivo, ma dal punto di vista politico quei due milioni di voti di scarto esprimevano una chiara volontà e indicavano un’unica strada percorribile.

Togliatti, in una riunione del Consiglio dei Ministri dell’11 giugno dichiara che “se non deliberiamo subito potrebbe verificarsi che il Re formi un nuovo governo, e in tal caso due sono le ipotesi, o accettiamo chinando la testa al Re, o rifiutiamo, e allora è la guerra civile”. La maggioranza chiede a De Gasperi di assumere sin da subito i pieni poteri. Si registrano scontri nelle principali città italiane, a Napoli addirittura ci sono quattro morti. Re Umberto non sembra disposto a cedere le deleghe sino alla sentenza definitiva e a quel punto De Gasperi forza la mano assumendo i pieni poteri.

Al re resta la scelta tra l’esilio e la prova di forza. Umberto chiede aiuto agli americani che però gli rispondono che non si sarebbero intromessi nella vicenda istituzionale italiana. E così il re di Maggio si risolve per l’esilio. L’addio di Umberto II è fortemente polemico. Il 13 giugno, con un proclama alla nazione, accusa il governo di aver “in spregio alle leggi ed al potere sovrano e indipendente della magistratura, compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo con atto arbitrario e unilaterale poteri che non gli spettano”.

La risposta di De Gasperi è lapidaria: “Un periodo che non fu senza dignità si chiude con una pagina indegna”. Il 18 giugno la Cassazione conferma la vittoria della Repubblica ma nel computo delle schede vengono considerate solo quelle valide e non le bianche e le nulle, contravvenendo così alle norme precedentemente approvate sulla procedura di scrutinio. La decisione presa dalla Cassazione non ha nessun fondamento giuridico ed è la stessa Cassazione ad assumersi la responsabilità politica e lo fa per “blindare” il risultato, per evitare una spaccatura nel paese che avrebbe potuto portare ad una nuova guerra civile. L’Italia ha scelto: è REPUBBLICA !!!

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