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ROMA Incendio al Tufello: disabile muore carbonizzato

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ROMA Incendio al Tufello: disabile muore carbonizzato

ROMA Una anziana signora non è riuscita a salvare il figlio sessantenne disabile da un incendio divampato nel loro appartamento.

L’incendio si è verificato in un appartamento sito al terzo piano di uno stabile in via Isole Curzolane. Per l’uomo da tempo costretto a letto nulla da fare. Quando i pompieri sono arrivati era già deceduto. La madre è stata soccorsa e affidata ai medici del 118. I pompieri hanno spento le fiamme e avviato le perizie per risalire alle cause. Per motivi di sicurezza evacuata l’intera palazzina. Non risultano esserci altri feriti o intossicati. Sul posto due squadre di vigili del Fuoco e la polizia di zona.

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Tancredi Antoniozzi, figlio del deputato di FdI: Rolex, risse e minacce ai carabinieri

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Tancredi Antoniozzi, figlio del deputato di FdI: Rolex, risse e minacce ai carabinieri

Una vita tra auto di lusso, vacanze da sogno e pose da gangster. Arrestato a 23 anni per aver messo nel mirino i coetanei di ponte Milvio, pedinandoli online e puntando ai loro orologi di valore. #PonteMilvio #Arresto #Giovani #Cronaca

Un giovane di 23 anni è stato arrestato per una serie di furti mirati ai coetanei del quartiere di ponte Milvio. Il ragazzo, noto per il suo stile di vita sfarzoso, ha utilizzato i social media per pedinare le sue vittime, puntando ai loro orologi di lusso.

Le indagini hanno rivelato che il giovane conduceva una vita fatta di ostentazione, con fotografie che lo ritraevano in pose da gangster, circondato da auto di lusso e in vacanze da sogno. La sua attività criminale, tuttavia, è stata scoperta grazie alla sorveglianza online che ha portato al suo arresto.

Le forze dell’ordine hanno sottolineato come l’uso dei social media sia diventato un terreno fertile per crimini di questo tipo, dove la vanità e la voglia di mostrare il proprio status possono trasformarsi in una pericolosa vulnerabilità.

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Gambizzato perché faceva troppa caciara: condannati i due pusher del Laurentino 38 per aver esagerato con la violenza

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Gambizzato perché faceva troppa caciara: condannati i due pusher del Laurentino 38 per aver esagerato con la violenza

Lo hanno gambizzato perché faceva rumore sotto casa loro. E “loro” sono i fratelli Muscedere, un cognome che conta al Laurentino 38. Per quei fatti, accaduti nella notte tra il 26 e il 27 settembre 2023, Cristian e Tiziano Muscedere sono stati condannati ieri a cinque anni e quattro mesi di reclusione. #Laurentino38 #Sparatoria #Giustizia

Lo hanno gambizzato perché faceva rumore sotto casa loro. E “loro” sono i fratelli Muscedere, un cognome che conta al Laurentino 38. Per quei fatti, accaduti nella notte tra il 26 e il 27 settembre 2023, Cristian e Tiziano Muscedere sono stati condannati ieri a cinque anni e quattro mesi di reclusione. I due erano stati inizialmente accusati di tentato omicidio di A.C. dal pm Edoardo De Santis, reato poi derubricato in lesioni personali aggravate. Nel corso della stessa indagine è rimasta coinvolta anche un’altra persona.

Si tratta di Vincenzo Bevilacqua: il giovane, estraneo ai fatti della sparatoria, è stato chiamato a rispondere di cessione di sostanze stupefacenti, porto d’armi abusivo e ricettazione: per lui, la pena è di sei anni e due mesi di carcere.

Tutto è cominciato la notte tra il 26 e il 27 settembre 2023. Una sparatoria “all’ultimo ponte”, nel quartiere Laurentino 38. Il ferito, 30 anni, arriva poco dopo l’una al pronto soccorso dell’ospedale Sant’Eugenio: dice di non sapere chi gli ha sparato, nemmeno il motivo.

Saranno le intercettazioni a permettere a chi indaga, sotto il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia, di ricostruire l’intera vicenda. Inutili i tentativi di parenti e amici di parlare “a gesti”, passandosi “i pizzini” di mano in mano all’interno della camera dell’ospedale dove è ricoverato il 30enne ferito, per evitare di venire ascoltati dagli agenti. Le conversazioni vengono carpite lo stesso dagli investigatori, che riescono così a risalire agli avvenimenti di quella sera. La vittima sarebbe uscita a Spinaceto con un amico.

Dopo aver abusato di alcol e droga, i due “arrivano all’XI ponte all’interno del quartiere Laurentino 38”. Ed è là, esattamente sotto casa dei fratelli Muscedere, che il 30enne comincia a strillare. La reazione degli inquilini non si fa attendere: “Ao non devi fa caciara qui sotto, noi qui ce lavoriamo”, si affaccia uno dei due.

Era stata la stessa persona offesa, sempre nel corso delle intercettazioni, a riconoscere involontariamente le sue ‘responsabilità’: “Gli ho fatto casino sotto casa, questi lì hanno la piazza (di spaccio)”. Dopo un breve allontanamento, però, la vittima torna sotto l’abitazione. A quel punto i fratelli scendono per strada. Prima la rissa con Tiziano, poi i colpi sparati da Cristian. Uno per terra, due alla gamba destra dell uomo. Per questo i fratelli Muscedere – difesi dall’avvocata Veronica Paturzo – erano finiti a processo con l’iniziale accusa di tentato omicidio: ieri la sentenza che ha riqualificato l’ipotesi originaria in quella di lesioni aggravate dall’uso dell’arma. “Il giudice – ha commentato Paturzo – ha correttamente ritenuto l’insussistenza del dolo alternativo, richiesto invece quale presupposto necessario dell’ipotesi di tentato omicidio inizialmente contestata. Mi ritengo soddisfatta della sentenza”.

Ma a finire in mezzo alla vicenda, anche se non direttamente coinvolta nella sparatoria, c’è anche una terza persona: pizzicato dalle intercettazioni, Vincenzo Bevilacqua, amico e compagno di pugilato della vittima, “sarebbe riconducibile – per gli agenti – a un’attività di detenzione e traffico di stupefacenti”.

Il 32enne, difeso dall’avvocato penalista Gianluca Tognozzi, oltre a pianificare una qualche forma di vendetta, si sarebbe infatti lamentato delle “perdite economiche”. L’attenzione di media e forze dell’ordine dopo la sparatoria, infatti, avrebbe portato alla diminuzione dei traffici, con tanto di fermi di soggetti a lui vicini: “M’hai fatto perde tre pacchi (di cocaina)”, avrebbe detto in una delle conversazioni captate. Anche lui ha chiesto e ottenuto di essere giudicato con l’abbreviato per le accuse di spaccio e detenzione illegale di arma da fuoco: il giudice lo ha condannato a sei anni e due mesi di reclusione.

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