Cronaca
ROMA Furto lussuoso da Gucci: due cilene alla sbarra

ROMA Furto lussuoso da Gucci: due cilene alla sbarra.
ROMA Furto lussuoso da Gucci. Il malloppo, una borsa da sogno per ogni donna, è stata portata via con un azione leggendaria. Protagoniste di questa favola non a lieto fine due donne cilene, riuscite a uscire dalla boutique di Gucci con una borsa da 29mila euro senza essere scoperte. O almeno così pensavano. Pochi secondi infatti ed entrambe sono state arrestate e poi costrette a patteggiare un anno e quattro mesi di pena. Fine del sogno dunque e addio a quella borsa di coccodrillo, modello Zumi, prodotto di punta della collezione primavera estate della casa Gucci, che l’ha così chiamata in onore dell’attrice e musicista sperimentale Zumi Rosow.
Le due donne, senza fissa dimora, sono state pizzicate giovedì pomeriggio dai carabinieri di San Lorenzo in Lucina. Insospettiti dal loro atteggiamento, i militari hanno iniziato a seguirle lungo via Borgognona. 31 e 41 anni, le due cilene entravano ed uscivano in maniera frenetica dall’esclusivo negozio, senza mai acquistare nulla. Una delle due ha in mano solo una busta di carta. I carabinieri le sorvegliano e all’improvviso notano una strana scena. Dopo aver confabulato fra loro fuori del negozio, entrano separatamente mirando alla teca che su un cuscino rosa custodisce la borsa a mano. Di misura media e con manico in bamboo, si trova in «offerta» a soli 25mila euro. A quel punto, la più grande si guarda intorno controllando gli addetti alle vendite alle prese con i clienti, mentre la più giovane preleva la borsa dalla teca inserendola nella busta schermata che ha in mano. Pochi istanti dopo, le ladre sono all’uscita e una volta fuori si allontanano a passo svelto. I carabinieri, che hanno assistito a tutta la scena, le inseguono e infine arrestano in via Mario de’ Fiori.
Accusate di furto aggravato, entrambe ieri sono state portate in Tribunale per la convalida d’arresto. Hanno risposto alle domande del pm d’aula Filomena Angiuni, tentando di minimizzare la loro posizione. «Avevo bisogno di una borsa per l’estate. Non sapevamo fosse così costosa», hanno detto, prima di patteggiare la pena e tornare in libertà. Per loro prevista anche una multa di 400 euro.
Cronaca
Terzo atto vandalico sul motorino della moglie del ministro Giuli: indaga la Digos

#VandalismoPolitico #MinistroGiuli #Roma Gli atti vandalici contro la famiglia di Alessandro Giuli, ministro della Cultura, sono diventati virali. Furto, danneggiamenti e messaggi in codice. La Digos indaga, mentre il web esplode di solidarietà e polemiche.
Furti, danneggiamenti e messaggi in codice: una borsa di ghiaccio per contusioni lasciata nel bauletto portacasco. Sarà la Digos a indagare sugli atti vandalici contro il motorino della moglie del ministro della Cultura, Alessandro Giuli, che sui propri profili social, questa mattina, ha denunciato la vicenda.
"Non era mai accaduto prima – ha scritto Giuli – ma da quando, sette mesi fa, sono diventato ministro, è la terza volta che avviene, sotto la mia abitazione: atti vandalici sul motorino di mia moglie, gomme dell’auto sgonfiate, furto del casco e gesti intimidatori come la busta del ghiaccio per contusioni al posto del casco rubato. Ho avvisato le autorità competenti, confidando che questi attacchi cessino". Commento: Il ministro sembra aver scambiato la sua carriera politica per un reality show.
La denuncia del ministro è finita sul tavolo della Digos di Roma, diretta da Antonio Bocelli, che ha già avviato i primi accertamenti. Numerosi sono stati gli attestati di solidarietà verso Giuli e sua moglie. "Mi auguro che quanto prima si riescano a trovare i responsabili degli atti vandalici e minatori nei confronti della signora Valeria, moglie del ministro Giuli", ha dichiarato il vicepresidente della Camera dei deputati, Fabio Rampelli, di Fratelli d’Italia. "Queste intimidazioni protratte nel tempo sono la conferma di una guerriglia psicologica che spesso non minaccia direttamente i membri del governo, ma, come la mafia insegna, colpisce i loro affetti. La mia solidarietà al ministro Giuli, nella certezza che le forze dell’ordine e gli inquirenti troveranno presto i responsabili di queste vigliaccate squallide". Commento: Rampelli ci tiene a fare il paladino, con un paragone un po’ troppo drammatico.
Solidarietà anche da parte dei componenti del Pd della Commissione Cultura della Camera: "Noi crediamo che la migliore politica nasca dal rispetto, a partire dagli avversari politici, e che in questo tempo così aggressivo sia necessario prendere le distanze da ogni episodio violento, denunciandolo con forza. Ci auguriamo che sia fatta piena luce". Commento: Il Pd si schiera, ma con un tono così diplomatico da risultare quasi comico.
Cronaca
L’accusa dei genitori di Wissem: ucciso dalla disumanità di uno Stato che respinge i negri

Il papà e la mamma del 27enne tunisino, morto il 28 novembre del 2021 all’ospedale San Camillo dopo una detenzione nel Cie di Ponte Galeria, sono a Roma dove si è tenuta l’udienza preliminare del processo. “Crediamo nella giustizia italiana”. #Roma #Giustizia #Migranti
I genitori di un giovane tunisino, tragicamente deceduto dopo una detenzione nel famigerato Cie di Ponte Galeria, hanno messo piede nella Città Eterna per seguire da vicino l’udienza preliminare del processo. La situazione è di quelle che fanno discutere, con la famiglia che, con una fiducia quasi disarmante, ha dichiarato “Crediamo nella giustizia italiana”. Eh già, perché in un paese dove la burocrazia spesso sembra un labirinto e la giustizia un’utopia, la loro speranza suona quasi come una provocazione.
La speranza dei genitori
I due genitori, segnati dal dolore ma decisi, hanno voluto essere presenti a Roma per sostenere la causa del loro figlio. “Crediamo nella giustizia italiana” hanno ribadito, una frase che stride con le tante storie di lentezza e inefficienza del sistema giudiziario italiano, ma che forse rappresenta un grido di speranza in un contesto dove le speranze sembrano spesso vane.
Il processo e il contesto
L’udienza preliminare si è svolta in un clima di attesa, con gli occhi di molti puntati su questo caso che potrebbe diventare emblematico delle condizioni nei centri di detenzione per migranti. Il giovane era stato trattenuto nel Cie di Ponte Galeria prima di essere trasferito in ospedale dove è poi deceduto, sollevando numerosi interrogativi sulle condizioni di detenzione e sulle responsabilità del sistema.
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