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CASO DESIREE Incredibile accusa del pusher ai genitori: “Avrebbero dovuto controllarla”
CASO DESIREE “Se i genitori fossero stati più presenti Desirèe non sarebbe stata uccisa”, questa l’incredibile accusa del pusher.
È proprio questa la teoria sul quale si regge la difesa di Salia Yusif. Il pusher ghanese che secondo l’accusa con altre tre persone il 18 e il 19 ottobre scorso avrebbe lasciato morire Desiree dopo averla annichilita con un cocktail di sostanze stupefacenti e violentata più volte. Ciò basta secondo la difesa del trentatreenne, guidata da Maria Antonietta Cestra, ad attenuare se non cancellare la brutalità con la quale per l’accusa i quattro pusher si sarebbero avventati sul corpo di Desirèe approfittando delle sue fragilità di ragazzina poco più che adolescente.
“Se quel giorno fosse stata in casa con i familiari io, Salia Yusif, non sarei in carcere”. Queste le parole con cui il ghanese, incastrato dal test del Dna rinvenuto sulla salma della giovane, prova a mitigare le accuse che lo riguardano. Il tutto riportato in una querela che addossa ai genitori di Desirèe la colpa di quanto successo. La famiglia secondo la tesi dell’avvocato di Salia non avrebbe fatto abbastanza per affrontare “i problemi” che la ragazzina aveva “con gli stupefacenti”. La difesa dello spacciatore ipotizza addirittura il reato di “abbandono di minore” e “omessa vigilanza”.
Le parole del pusher sono finite agli atti durante l’incidente probatorio. Raccolta anche la versione dei fatti fornita dai testimone chiave che si trovavano quella notte nella ‘crack house’ di via dei Lucani, a San Lorenzo. Secondo il racconto di uno di loro i quattro accusati a vario titolo di omicidio volontario, violenza sessuale e spaccio, avrebbero impedito ai presenti di chiamare i soccorsi dopo essersi accaniti sulla ragazza probabilmente già priva di sensi. Ritrovarono Desirèe soltanto la mattina dopo, ormai esanime, nel rudere abbandonato.
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