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AUTISMO Padre senza lavoro per assistere figlio. Un’associazione in suo aiuto

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AUTISMO Padre senza lavoro per assistere figlio. Un’associazione in suo aiuto

AUTISMO L’Associazione Autismo Abruzzo Onlus sta aiutando un padre di due figli, di cui il minore, di 9 anni, autistico ed epilettico, ad affrontare le spese per le terapie del bambino.

AUTISMO Un papà di Anzio, rimasto vedovo 5 anni fa, ha dovuto lasciare il lavoro per gestire il piccolo figlio di 9 anni, autistico ed epilettico. I servizi sociali della cittadina in provincia di Roma pagano sedute di terapia ambulatoriali che però non sono adeguate all’autismo di Valerio, di livello grave come diagnosticato nell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. Tutte le altre terapie del caso, il genitore è costretto a pagarle di tasca propria, senza aiuto alcuno. Per tentare di risolvere i loro problemi si è mossa dall’Aquila l’associazione Autismo Abruzzo Onlus. L’associazione ha avviato una raccolta fondi. L’uomo inoltre non può nemmeno accedere al Reddito di Cittadinanza. Esiste infatti un conto vincolato a nome dei ragazzi. La ricerca di un lavoro part time che possa permettergli di mantenere la famiglia e assistere il figlio sembra senza sbocchi. La situazione sta diventando sempre più difficile.

LE PAROLE DEL PRESIDENTE DI AUTISMO ABRUZZO ONLUS

Così Dario Verzulli, presidente dell’Associazione che sta tentando di aiutare la famiglia di Anzio: “Un gesto di solidarietà che non basterà purtroppo perchè il bambino ha anche bisogno di terapia farmacologica. Durante le crisi epilettiche 2-3 volte al giorno cade rovinosamente. La Asl di competenza dovrebbe valutare complessivamente le reali esigenze del bambino e prenderlo in carico. Il padre non è assolutamente in condizione di seguirlo come meriterebbe. Sia dal punto di vista economico che logistico. Come associazione ci stiamo impegnando per aiutare questa famiglia facendo sapere al genitore quali sono i suoi diritti. Possiamo avvalerci dell’esperienza maturata negli ultimi anni in Abruzzo, l’unica regione ad aver recepito la Legge sull’autismo 134/2015 con apposito regolamento (DGR 437/2017) e una successiva integrazione (DGR 360/2019) per l’estensione sul territorio regionale dei nuovi setting di intervento. Nelle altre regioni, purtroppo i trattamenti erogati a persone con autismo non rispettano le indicazioni fornite dalle Linee Guida Nazionali per l’autismo”.

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Eseguito lo sfratto del centro Sociale Leoncavallo. Dopo anni lo stato vince la battaglia

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Eseguito lo sfratto del centro Sociale Leoncavallo. Dopo anni lo stato vince la battaglia

Sfrattato e sgomberato il centro sociale Leoncavallo di Milano.

Milano: eseguito sfratto del centro sociale Leoncavallo

In questo momento a Milano stanno eseguendo lo sfratto del centro sociale Leoncavallo. La notizia battuta dalle agenzie di stampa informa che è stato eseguito il provvedimento di sfratto dell’immobile occupato abusivamente dal centro sociale Leoncavallo. Poco prima delle 9 l’ufficiale giudiziario con la collaborazione della polizia di Stato ha fatto accesso nell’ex cartiera di via Watteau.

Leoncavallo sfratto rinviato 100 volte

Lo sfratto del centro sociale di via Watteau era stato rinviato un centinaio di volte e lo scorso novembre il ministero dell’Interno era stato condannato a risarcire 3 milioni ai Cabassi, proprietari dell’area, proprio per il mancato sgombero. Nei mesi scorsi l’associazione Mamme del Leoncavallo aveva presentato una manifestazione d’interesse al Comune per un immobile in via San Dionigi che poteva rappresentare un primo passo per lo spostamento del centro sociale dall’attuale spazio. Lo storico ‘Leonka’, così lo chiamavano a Milano occupa lo spazio in via Watteau dal 1994.

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Tamara Ianni e la forza di rompere il silenzio. Una voce contro la mafia di Ostia

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Tamara Ianni e la forza di rompere il silenzio. Una voce contro la mafia di Ostia

In un’Italia dove troppo spesso il silenzio è più forte della giustizia, la storia di Tamara Ianni è un grido potente che squarcia il complice silenzio; ex affiliata a uno dei clan criminali più feroci di Ostia, oggi è una collaboratrice di giustizia. Una donna, una madre, che ha scelto di denunciare, mettendo a rischio tutto, persino la vita della propria famiglia, pur di dire basta.

Il suo nome è emerso ancora una volta grazie a Belve Crime, programma condotto da Francesca Fagnani, che ha avuto il coraggio di affrontare in prima serata temi molto delicati. Nella sua intervista a volto coperto, Tamara Ianni ricorda i momenti che hanno segnato il suo passaggio da complice a testimone chiave nella lotta contro il clan Spada, una delle organizzazioni mafiose più temute del litorale romano; con le sue confessioni e quelle del marito, Micheal Galloni – nipote del boss rivale Giovanni Galleoni detto Baficchio – lo Stato è riuscito ad arrestare 32 membri del clan Spada nel 2018. Una frattura storica nella criminalità organizzata della capitale.

Il prezzo pagato da Tamara Ianni per aver scelto di parlare è stato altissimo, tra intimidazioni, violenze e minacce al figlio di appena due anni: e un boss con lamette infette in bocca, pronto a sputare sangue sul volto di un bambino innocente, nel tentativo di seminare terrore e sottomissione. In quel momento, Tamara ha alzato la testa, non per sé, ma per salvare suo figlio, e in quel gesto si concentra tutta la forza di una donna che ha deciso di rompere la catena del silenzio.

La sua non è solo una testimonianza processuale, è una lezione morale, un atto di coraggio che dimostra come la mafia possa essere affrontata, smascherata e persino colpita nei suoi equilibri più profondi, a patto che chi sceglie di parlare non venga lasciato solo, ma sostenuto, protetto, accompagnato da uno Stato che mantenga la promessa di giustizia.

Ed è proprio qui che si apre una ferita ancora aperta, una domanda scomoda e urgente: cosa stiamo facendo davvero per chi decide di denunciare? L’attentato del 2018, con un ordigno piazzato sulla casa dove Tamara viveva sotto protezione, ci ricorda che il rischio non finisce con una condanna, che la vendetta mafiosa è lenta, subdola, pronta a colpire nel tempo, e che chi collabora con la giustizia spesso è condannato a un’esistenza precaria, fatta di traslochi improvvisi, identità cancellate, isolamento sociale…

In un’Italia dove la criminalità organizzata continua a infiltrarsi nelle periferie, nei quartieri dimenticati, nei vuoti lasciati dalle istituzioni, figure come Tamara Ianni dovrebbero essere riconosciute come figure esemplari, simboli di un cambiamento possibile, di una scelta che, pur nel dolore, ha un valore collettivo enorme. Ma quante donne, quante madri, troverebbero la forza di fare lo stesso, sapendo di dover rinunciare a tutto, anche al diritto di vivere una vita normale?

Per questo la sua storia va ricordata, raccontata, portata nelle scuole, nelle piazze, nei luoghi della politica e della formazione, perché i giovani capiscano che la mafia non è invincibile e che dire no è possibile.

A volte, il vero eroismo non è nell’impugnare un’arma, ma nel trovare il coraggio di rompere il silenzio, anche quando tutti ti dicono di tacere.

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