Politica
Salvini sconfitto, i giudici: «Sui 49 milioni tutto vero»
Matteo Salvini sconfitto dall’Espresso e sbugiardato dai giudici sullo scandalo dei 49 milioni confiscati alla Lega ma in gran parte spariti.
Salvini sconfitto: i giudici hanno dichiarato completamente infondate le querele per diffamazione proposte dal leader leghista, quando era ministro dell’Interno, dal suo vice, Giancarlo Giorgetti, già sottosegretario alla presidenza del consiglio, e dal tesoriere del partito, l’onorevole Giulio Centemero. La sentenza dei giudici spiega che il lavoro dei giornalisti dell’Espresso rappresenta «indiscutibilmente» un esempio di «giornalismo d’inchiesta». Che, secondo la Cassazione, è da considerare «l’espressione più alta e nobile dell’attività d’informazione».
Le motivazioni del verdetto precisano che «con il giornalismo d’inchiesta l’acquisizione delle notizie avviene autonomamente, direttamente e attivamente da parte dei professionisti. E non mediata da fonti esterne mediante la ricezione passiva di informazioni». I giornalisti dell’Espresso sono quindi assolti con formula piena. Hanno pubblicato solo informazioni «verificate» e «documentate», di «indubbio interesse pubblico» ed esposte «con correttezza», con tutti i crismi del diritto-dovere di cronaca.
Per i vertici della Lega la sconfitta è totale. Salvini, Giorgetti e Centemero avevano presentato una serie di querele contro cinque articoli sullo scandalo dei 49 milioni, pubblicati dall’Espresso tra giugno e luglio 2018. Articoli firmati da Giovanni Tizian, Stefano Vergine, Paolo Biondani, Gloria Riva e Leo Sisti. Chiamato in causa anche il direttore Marco Damilano. Il procedimento penale, per competenza territoriale, esaminato dai giudici del tribunale di Velletri. A giugno i magistrati della Procura chiamati a rappresentare l’accusa hanno chiesto l’archiviazione giudicando infondate le ipotesi di pretesa diffamazione dopo aver esaminato i documenti presentati dai giornalisti.
Illustrati nelle memorie difensive degli avvocati dell’Espresso, Paolo Mazza e Clara Gabrielli. Il leader della Lega e i suoi fedelissimi hanno rilanciato le loro accuse con una formale opposizione all’archiviazione. Chiedendo ai giudici del tribunale (ufficio gip) di rovesciare il verdetto e incriminare i giornalisti. L’udienza decisiva si è tenuta il 7 gennaio scorso e si è conclusa con una sentenza, depositata questa stamattina, di assoluzione piena dei giornalisti.
Nelle motivazioni i magistrati riconoscono che tutti gli articoli dell’Espresso «sono il risultato dell’attività d’inchiesta portata avanti dai giornalisti. I quali, come attestato dalla copiosa documentazione depositata in allegato alla memoria difensiva, hanno ricercato le notizie, ripercorso gli eventi e tentato di ricostruire nei limiti del possibile la gestione delle finanze del partito politico Lega Nord. Argomento che riveste un indubbio rilievo stante l’interesse pubblico alla ricerca della verità conseguente agli scandali finanziari che hanno travolto il partito in questione». «In particolare», è spiegato nella sentenza, «a seguito della sentenza del tribunale di Genova emessa il 24 luglio 2017 veniva disposto il sequestro di circa 49 milioni di euro nei confronti della Lega Nord. Sequestro che però non veniva eseguito nella sua interezza perché al momento dell’esecuzione della misura cautelare i fondi del partito risultavano parzialmente inconsistenti».
I magistrati della procura e del tribunale di Velletri si riferiscono alla confisca, confermata anche dalla Cassazione, dei 49 milioni di euro incassati dalla Lega con la maxi-truffa dei rimborsi elettorali. Truffa che era costata una condanna in tribunale, poi cancellata dalla prescrizione, all’ex leader Umberto Bossi, fondatore del partito e tuttora senatore leghista. Quando è scattato il sequestro giudiziario, con la sentenza di primo grado, nella casse della Lega erano rimasti solo circa tre milioni. La Procura di Genova ha quindi aperto un’inchiesta, tuttora in corso, con l’accusa di riciclaggio dei restanti 46 milioni sottratti allo Stato.
Prescrizione significa che il reato c’è, l’imputato lo ha commesso, ma non può essere punito solo per scadenza dei termini, che in Italia sono ridottissimi. Anche la Lega di Salvini tuttora si oppone alla riforma destinata a evitare la prescrizione almeno dopo le condanne di primo grado. La sentenza di assoluzione dell’Espresso è importante per tutta la stampa italiana perché riconferma i principi sanciti dalla Cassazione sul giornalismo d’inchiesta.
I cronisti che fanno questo tipo di lavoro non possono essere obbligati a pubblicare solo notizie «certe e incontrovertibili». Cioè ad aspettare che siano convalidate da definitive sentenze giudiziarie dopo tre gradi di giudizio, ma possono anche evidenziare interrogativi, fatti sospetti, dubbi, purché fondati e comprovati da documenti e testimonianze attendibili. Gli articoli al centro del caso giudiziario sono stati pubblicati dall’Espresso tra il 3 giugno e il 15 luglio 2018. Da allora nessuno ha mai potuto smentire la verità storica di tutti i fatti scoperti con le inchieste giornalistiche.
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