Il Fatto del Giorno
Il 2 aprile 1990 ci lasciava una icona della romanità: Aldo Fabrizi
Il 2 aprile 1990 scompare a Roma a 85 anni uno dei più grandi interpreti del cabaret capitolino: Aldo Fabrizi.
Aldo Fabrizi nasce nel 1905 in una famiglia modesta. Alla giovane età di 11 anni perse il papà Giuseppe. Facendo parte di una famiglia numerosa che comprendeva anche cinque sorelle tra le quali Elena, in seguito soprannominata Sora Lella, si ritrovò costretto ad abbandonare gli studi ed a iniziare a lavorare accettando i mestieri più disparati prima di arrivare, nel 1931, al teatro di varietà, dove portò personaggi incontrati nella vita di tutti i giorni. Arrivò al cinema nel 1942 con “Avanti c’è posto”. Da allora interpretò decine di film rivelandosi soprattutto per la sua vena dialettale e la sua profonda umanità. Ma il film che lo consacrò fu certamente ‘Roma città aperta’ girato al fianco di Anna Magnani. Autore di poesie in romanesco e di apprezzati libri di cucina.
GLI ESORDI
L’attore romano, fiero delle sue origini, teneva molto al suo blasone popolare romanesco, alla sua competenza gastronomica e alla sua ignoranza. Erano queste le credenziali che esibiva con qualsiasi interlocutore. Una sua battuta, detta per tagliar corto in una discussione tra prigionieri di varie parti d’Italia in un campo della California nel film “Natale al campo 119”, riassume perfettamente gli ideali di Fabrizi: “Quanto siete ridicoli con questo stupido campanilismo. Ormai dobbiamo metterci in testa una cosa sola: Roma e basta!”. Esordì nel varietà a 34 anni. In precedenza aveva fatto qualsiasi lavoro: dal fattorino al fruttivendolo, dal cocchiere al tranviere. Con esperienza riuscì a riportare nel cinema e in teatro un vasto repertorio di ruoli e personaggi da cui non si sarebbe mai più staccato.
LE SUE INTERPRETAZIONI
Suoi sono i soggetti e le sceneggiature di tre film degli inizi degli anni ’40: “Avanti c’è posto”, “Campo dei fiori” e “L’ultima carrozzella”. Quegli stessi personaggi comuni, carichi di buon senso e depositari di un sapere popolare e di una filosofia del vivere fondata sulla tolleranza e sull’ironia, li aveva riproposti alla radio e ripresi con successo in vari spettacoli teatrali. Non doveva recitare o entrare nei personaggi, gli bastava interpretare se stesso, raccontarsi seguendo le proprie esperienze. Durante la sua carriera ebbe modo di lavorare con grandi registi come Blasetti, Castellani, Lattuada, Rossellini, Zampa. In tutti i film riprendeva i suoi vecchi personaggi arricchendoli di toni ora patetici ora drammatici e i risultati si vedevano anche in film non diretti da lui come “Guardie e ladri” o “Parigi è sempre Parigi”.
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