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CORONAVIRUS Tagli al Servizio Sanitario Nazionale: ecco chi li ha fatti

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CORONAVIRUS Tagli al Servizio Sanitario Nazionale: ecco chi li ha fatti

CORONAVIRUS Tagli al Servizio Sanitario Nazionale: ecco chi li ha fatti.

Tagli al Servizio Sanitario Nazionale. Dal 2001 a oggi il fabbisogno sanitario statale è quasi sempre aumentato passando da 71,3 miliardi nel 2001 a 114,5 nel 2019. Dieci anni fa i 105,6 miliardi di euro erano il 7% della ricchezza nazionale. Nel 2019 i 114,5 miliardi erano il 6,6%. Un taglio dello 0,4% del Pil che porta la firma dei governi Berlusconi IV, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e Conte. Secondo il rapporto della Fondazione Gimbe ‘Il definanziamento 2010-2019 del Servizio Sanitario Nazionale’ la situazione è ancora più complessa. “Nel decennio 2010-2019 il finanziamento pubblico del Ssn è aumentato di 8,8 miliardi di euro, crescendo in media del 0,9% all’anno. Tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua pari a 1,07%”. In più ci sarebbero altri 37 miliardi di euro totali di finanziamenti promessi negli anni dai governi e non realizzati o ridotti.

Circa 25 miliardi nel 2010-2015 per tagli conseguenti a varie manovre finanziarie. Oltre 12 miliardi nel 2015-2019 quando alla Sanità erano destinate meno risorse di quelle programmate. I fondi promessi e non dati sono 8 miliardi nel governo Monti, 8,4 governo Letta, 16,6 governo Renzi, 3,1 governo Gentiloni e 0,6 dal governo Conte. Nel 2017, secondo l’Annuario statistico, il Ssn disponeva di 1.000 istituti di cura, 51,80% pubblici e 48,20% privati accreditati. Un totale di 191.000 posti letto di degenza ordinaria. Ciò voleva dire 3,6 posti letto ogni 1.000 abitanti. La media europea era invece di 5 ogni 1.000 abitanti. “Nel 2007 – si legge nell’annuario di quell’anno – l’assistenza ospedaliera si è avvalsa di 1.197 istituti di cura, 55% pubblici e 45% privati accreditati. A livello nazionale disponibili 4,3 posti letto ogni 1.000 abitanti”. Nel 1998 c’erano 1.381 istituti, 61,3% pubblici e 38,7% privati accreditati. 5,8 posti letto per 1.000 abitanti.

Quindi negli ultimi 20 anni si era già deciso di ridurre il numero di ospedali e posti letto, soprattutto nel pubblico, aumentando la quota del privato convenzionato. Nel 1980 i posti per malati acuti erano 922 ogni 100.000 abitanti. Nel 1998, l’ultimo in cui l’Italia era sopra la media europea, il governo D’Alema da il via a una discesa costante. Secondo dati dell’Oms sino al 2013 il numero di posti letto si è quasi dimezzato passando da 535 a 275 ogni 100.000 abitanti. Oggi siamo sotto Paesi come Bulgaria, Grecia, Serbia, Slovacchia e Slovenia. Una scelta sancita anche dal piano Sanitario nazionale 2003/2005 tra i cui obiettivi metteva “la riduzione del numero dei ricoveri impropri negli Ospedali per acuti”. A fronte di una popolazione sempre più anziana e con patologie croniche si è scelto di potenziare soprattutto l’assistenza territoriale e domiciliare, cercando di evitare il ricovero in ospedale.

Inoltre si è passati a una razionalizzazione: inutile tenere aperti piccoli ospedali, meglio aumentare i posti negli ospedali più grandi e con migliori specializzazioni. Ma questo non sempre è avvenuto. Il numero dei medici per abitante resta superiore alla media dell’Ue (4,0 rispetto al 3,6 per 1.000 abitanti nel 2017) ma il numero dei medici che esercitano negli ospedali pubblici e in qualità di medici di famiglia è in calo. In più l’Italia ha meno infermieri di quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale e il loro numero è inferiore alla media dell’Ue (5,8 infermieri per 1.000 abitanti contro 8,5 dell’Ue). In generale i tagli alla Sanità hanno portato un calo del numero degli addetti sanitari, tra medici e infermieri, soprattutto nel pubblico. Secondo i calcoli della Ragioneria dello Stato tra il 2009 e il 2017 la sanità pubblica nazionale ha perso oltre 8.000 medici e più di 13.000 infermieri.

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