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PORTA PORTESE Operazione Antiusura ‘Money box’
PORTA PORTESE Operazione Antiusura ‘Money box’: sette le persone tratte in arresto.
In corso dalle prime ore di questa mattina un’operazione antiusura, denominata ‘Money box’, da parte della Squadra Mobile – Sezione “Reati contro il Patrimonio” – nell’ambito di una complessa attività investigativa coordinata dal pool antiusura della Procura della Repubblica di Roma. Eseguite sette misure cautelari emesse dal Giudice per le Indagini Preliminari del locale Tribunale dopo aver individuato e ricostruito le vicende criminose di soggetti che elargivano prestiti a interessi usurari a piccoli imprenditori e persone in difficoltà economiche. Agli indagati, di età compresa tra i 43 e i 65 anni, che operano nel quartiere Portuense e sono stabilmente inseriti nel tessuto criminale romano sono contestati i delitti di usura, estorsione, riciclaggio, autoriciclaggio, esercizio abusivo di attività finanziaria e favoreggiamento reale.
Le indagini sull’operazione ‘Money Box’ hanno preso spunto da alcune denunce raccolte da vittime nella zona Portuense-Marconi-Trastevere. Gli indagati avevano istituito la loro base operativa all’interno del celebre mercato rionale di Porta Portese, dove venivano fissati appuntamenti con i clienti, concessi i prestiti di denaro ed effettuate le riscossioni. Le dichiarazioni hanno trovato riscontro grazie all’attività tecnica, realizzata attraverso intercettazioni, analisi dei video e approfondimenti bancari. All’esito delle investigazioni, che si sono sviluppate a cavallo tra la fine del 2019 e i primi mesi del 2020, ricostruite le mansioni svolte da ciascun indagato secondo un preciso progetto illecito consistente nella sistematica concessione di prestiti di denaro a interessi usurari a soggetti in difficoltà economiche, con l’aggiunta di eventuali ‘multe’ che venivano comminate in caso di ritardo nei pagamenti.
La forza intimidatrice era dettata inoltre dall’ingenerare nelle vittime la convinzione di appartenere alla famigerata ‘Banda della Magliana’, facendo leva sulle omonimie con alcuni dei più noti componenti della famosa banda. In altri casi millantati rapporti stretti con le organizzazioni criminali dei Casalesi o dei Casamonica, ovvero della ‘Ndrangheta. Tra gli indagati figura N.M., quarantaseienne romano con vari precedenti alle spalle, che si avvaleva della stretta collaborazione dei fratelli D.G. e D.M. rispettivamente di 46 e 48 anni. I tre usavano come base logistica il box adibito alla vendita di accessori per auto, ubicato proprio nel noto mercato.
A concorrere nell’illecita attività nonché nei fatti estorsivi vi era il suocero del principale indagato, S.M., di anni 65 con a carico vari precedenti. V.A. e D.A., anch’essi romani rispettivamente di 48 e 43 anni, avevano il compito di recuperare dalle vittime le somme di denaro, frutto di usura e abusivo esercizio del credito. I proventi erano affidati a D.M., cinquantasettenne, cui è contestato il reato di riciclaggio. Questi sfruttando la copertura fornita dalla propria impresa edile si occupava di porre all’incasso gli assegni che le vittime avevano consegnato agli usurai quale garanzia per ottenere i prestiti giustificando tali introiti quali saldi di fatture, così ostacolando l’identificazione della provenienza illegale del denaro.
Le modalità illecite con cui erano concessi i prestiti sono venute alla luce mediante gli approfondimenti investigativi attraverso cui si è accertato che gli interessi praticati superavano il 240% su base annua. La modalità di estinzione invece si basava sul modello c.d. “a fermo”. Il debito sarebbe considerato estinto solo mediante il pagamento per intero della sorta capitale. Con tali modalità, in pratica, la vittima si trovava a restituire nel giro di pochi mesi addirittura circa il doppio o il triplo dei soldi ottenuti in prestito, sempre al netto delle ‘ristrutturazioni’ del debito effettuate arbitrariamente dagli indagati man mano che non rientravano del denaro prestato nei tempi concordati. La resistenza delle vittime di usura era vinta mediante estorsione perpetrata con minacce ed aggressioni fisiche.
Il sistema operativo delittuoso ben collaudato, risalente nel tempo e ben articolato sul territorio della Capitale nei quartieri Portuense e Marconi, non ha subito arresti neanche durante l’emergenza dettata dalla pandemia da coronavirus e il vigore delle restrizioni imposte poiché gli indagati hanno riorganizzato la propria attività riscuotendo i ratei usurai a domicilio. Con l’esecuzione dei provvedimenti, compiuta nelle prime ore della mattinata, gli indagati sottoposti ad altrettante misure cautelari. Tre soggetti associati alla casa Circondariale di Regina Coeli, tre ristretti agli arresti domiciliari e a uno notificato l’obbligo di firma. All’esito delle perquisizioni domiciliari effettuate dal personale di Polizia impiegato è stato possibile recuperare importante materiale probatorio ora al vaglio dell’Autorità Giudiziaria.
ROMA – IN DUE E SENZA CASCO SUL MONOPATTINO: FIOCCANO LE PRIME MULTE
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