Donna
Parità di salario – Nel Lazio è legge. 8 miliardi di investimenti. Le parole di Zingaretti

Attraverso una nota il Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti annuncia la parità di salario con una legge tanto attesa. 8 miliari per il triennio ’21-’23.
E’ soddisfatto Nicola Zingaretti per quanto raggiunto nella regione da lui governata, “Lo avevamo detto e lo abbiamo fatto: da oggi nel Lazio c’è una legge che sostiene la parità di salario tra uomini e donne, con risorse concrete. Un’altra buona pratica di una Regione che cambia.”. Queste le prime dichiarazioni del governatore della nostra regione.
Infatti il Consiglio Regionale ha approvato la proposta di legge numero 182 denominata “Disposizioniper la promozione della partià retributiva fra i sessi, il sostegno dell’occupazione e dell’imprenditoria femminale di qualità nonchè per la valorizzazione delle competenze per le donne.”
Un grande passo in avanti per questa che è una piaga sociale dei nostri tempi e che con la pandemia si è anche aggravata. Un divario che conosciamo bene, perché monitoriamo da sempre i dati statistici e le donne sono troppo spesso penalizzate dal punto di vista retributivo. Ecco perché nel Lazio abbiamo voluto investire per cambiare rotta con un sistema che favorirà la parità retributiva premiando le aziende più virtuose che investiranno in formazione delle donne che hanno perso il lavoro. La legge prevede anche un fondo regionale per le vittime di violenza e uno sportello donna nei centri per l’impiego.
Il presidente della Regione Lazio conclude “Sono molto felice, perché è una legge giusta che prevede azioni concrete ed entra nel vivo di una trasformazione necessaria. Le donne non sono spettatrici del mondo lavorativo, al contrario hanno un ruolo cruciale, nell’economia e nella società. E’ tempo di cambiare.”
Intanto subito i vaccini in farmacia
Attualità
Femminicidi e scuola: un appello all’educazione affettiva

Di fronte all’ennesimo femminicidio, la reazione è spesso la stessa: sconcerto, rabbia, dolore. Poi, troppo spesso, il silenzio. Un silenzio che dura fino alla prossima tragedia, in un ciclo che sembra destinato a ripetersi. Ma la verità è che ogni femminicidio non inizia con un colpo, inizia molto prima, nei gesti piccoli ormai normalizzati e nei ruoli imposti.
La scuola è il primo spazio pubblico in cui i bambini imparano a vivere con gli altri: è il luogo dove si formano le idee, si costruiscono le identità, si assimilano i modelli sociali.. parlare di femminicidio a scuola non significa portare dentro le aule la cronaca nera, ma riconoscere che la violenza di genere è un fatto culturale, prima ancora che criminale.
Serve un’educazione affettiva che aiuti i ragazzi a interrogarsi su cosa significhi amare, rispettare, comunicare e gestire il conflitto. Serve un’educazione emotiva che insegni a nominare le emozioni, riconoscerle, non reprimerle né trasformarle in rabbia.
Eppure, in Italia, l’educazione sessuale e affettiva non è obbligatoria. Viene spesso ostacolata, ridotta a interventi occasionali, lasciata alla buona volontà di singoli docenti o associazioni; come se parlare d’amore, di rispetto, di corpo e consenso fosse un tabù più pericoloso della violenza che esplode quando quei temi vengono ignorati.
La scuola ha il dovere di preparare cittadini, non solo studenti. E in una società in cui le disuguaglianze e la violenza di genere sono ancora profondamente radicate, non si può più considerare opzionale l’educazione al rispetto e alla parità. Non basta conoscere Dante o la matematica, se poi non si è in grado di costruire relazioni sane, di accettare un no, di riconoscere la libertà dell’altro come inviolabile.
Il cambiamento culturale non sarà immediato., ma può cominciare in una classe, da una domanda, da una discussione, da un dubbio piantato nella mente di un ragazzo o una ragazza, può cominciare quando smettiamo di pensare che “certe cose” non si dicano ai giovani, e iniziamo invece a fidarci della loro intelligenza e sensibilità.
Se vogliamo davvero fermare i femminicidi, dobbiamo smettere di parlarne solo dopo e cominciare a parlarne prima. Dove si cresce, dove si impara a diventare adulti e dove si può ancora cambiare.
Attualità
Svolta in Sicilia sull’aborto: un passo storico per i diritti delle donne

Una regione che per anni è stata simbolo delle difficoltà più estreme nell’applicazione della Legge 194/1978, quella che garantisce il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, ha appena compiuto un passo importante: l’’approvazione dell’articolo 3 del disegno di legge regionale n.738 segna un cambio di rotta netto, profondo, storico. D’ ora in poi, tutte le aziende sanitarie siciliane dovranno garantire spazi dedicati all’IVG e, cosa ancora più significativa, i bandi pubblici per il personale sanitario potranno includere il vincolo di non essere obiettori di coscienza.
Sembra banale, ma non lo è. Secondo il Ministero della Salute, nel 2022 il 60,5% dei ginecologi italiani si dichiarava obiettore, mentre in alcune strutture meridionali si toccavano punte del 90%.
Il problema che pochi si pongono é che mentre il medico si rifiuta, il diritto resta sulla carta.
A chi serve una legge che non può essere applicata?
Questa norma non impone, non forza nessuno a cambiare idea, ma mette al centro una verità che troppo spesso viene dimenticata: la decisione ultima spetta alla donna, non allo Stato, non al medico, non alla morale pubblica. Alla donna.
Guardando da Roma questa svolta siciliana, viene spontaneo chiedersi: e noi?
La Capitale d’Italia, che dovrebbe essere faro di diritti e di accesso alla sanità pubblica, presenta ancora oggi un contesto discontinuo: a Roma l’IVG è garantita in alcuni ospedali, ma i tempi d’attesa sono spesso incompatibili con l’urgenza della decisione, e molte donne finiscono col rivolgersi altrove o al privato.
E allora ben venga la Sicilia, se serve a ricordarci che la libertà di scelta non è un privilegio, ma un diritto e che l’obiezione di coscienza, se diventa regola e non eccezione, è un abuso.
Dietro ogni aborto c’è una storia che non ci riguarda, che non possiamo giudicare e che non ci appartiene.
Roma, città eterna, città delle battaglie civili, ha il dovere di vigilare, di pretendere che in ogni struttura sanitaria il diritto all’aborto sia garantito, non solo formalmente, ma concretamente. Perché quando si parla di IVG, ogni ostacolo, ogni ritardo, ogni silenzio è un fallimento dello Stato.
Il diritto di abortire non è un favore concesso, è una conquista civile, è la libertà di decidere sul proprio corpo, sulla propria vita e sul proprio futuro.
Una donna che sceglie di non diventare madre non è meno donna, né meno degna di rispetto.
Oggi è la Sicilia a dirci che si può cambiare, ora tocca a noi.
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