Cronaca
WILLY Marco Bianchi si difende in aula: “Io dipinto come un mostro”
WILLY Marco Bianchi si difende in aula: le parole nell’udienza per la morte del 21enne a Colleferro

WILLY Marco Bianchi si difende in aula. Il giovane, responsabile insieme al fratello dell’omicidio avvenuto il 6 settembre di un anno fa, ha parlato questa mattina davanti ai giudici di Frosinone. “Ero un ragazzo semplice – ha raccontato – lavoravo per mio fratello nel suo bar. L’Mma lo praticavo fin dai miei 9 anni. La passione me l’ha trasmessa la mia famiglia, soprattutto mio zio, il maestro, e avrei voluto trasformarla in lavoro. Per il resto conducevo una vita semplice, tra casa, amici e palestra“. Il ragazzo smentisce poi le accuse di aver sferrato il colpo fatale: “Se avessi dato a Willy un calcio al petto, lo avrei ammesso. Conosco le conseguenze di un simile colpo e per questo non lo avrei mai sferrato“. “Ho sempre detto la verità – ha poi aggiunto – ma non sono stato mai creduto, anzi mi hanno dipinto come un mostro“. Resta tuttavia oscuro il motivo del suo allontanamento dal luogo della rissa: “Se avessi capito – spiega a tal proposito Marco – che le condizioni di Willy erano così gravi, non lo avrei fatto“.
Il giovane nega anche l’attività di spaccio e il carattere violento che gli sono stati affibbiati: “Ho sempre lavorato, anche se all’inizio in nero. Lo sport lo praticavo come tanti, ma sempre secondo le regole. Il soprannome ‘il maledetto’? Non significava nulla in particolare“. Poi, dopo aver riferito alcune parole del fratello (“Mi ha detto che nella rissa non ha colpito Willy ma un suo amico, proprio per proteggerlo“), conclude la deposizione spiegando i rapporti con gli altri imputati, anch’essi presenti in aula: “Li ho conosciuti alle medie, poi ci siamo persi di vista. Ogni tanto li incontravo, anche al locale di mio fratello. Belleggia ha detto che non eravamo amici, ma non è vero. Ci sentivamo e spesso lui veniva a casa mia”.
Cronaca
Blitz della Guardia di Finanza. Sequestrati 50 kg di Cocaina

Finanzieri del Comando Provinciale di Roma hanno sequestrato, presso il porto di Civitavecchia, un carico di
cocaina occultato all’interno di un container refrigerato in arrivo dall’Ecuador.
Nel corso dei normali controlli svolti nell’area portuale, le “fiamme gialle” del Gruppo di Civitavecchia hanno notato un gruppo di persone a piedi che si aggiravano nei pressi della banchina. Dopo l’intimazione dell’alt, il gruppo si è dato alla fuga e, poco distante, i militari hanno rinvenuto tre borsoni contenenti 45 panetti di cocaina, per un peso complessivo di circa 50 chilogrammi. Secondo le stime, il carico avrebbe potuto fruttare sulle piazze di spaccio ricavi per circa 5 milioni di euro.
Il procedimento penale è attualmente in fase di indagini preliminari e, in attesa di giudizio definitivo, si applica la presunzione di non colpevolezza. L’operazione si inserisce nel più ampio quadro delle attività di contrasto alla criminalità organizzata e al narcotraffico internazionale condotte dalla Guardia di Finanza all’interno degli spazi portuali, quale presidio permanente a tutela della sicurezza economica e della salute pubblica.
Cronaca
Bomba sotto casa del boss Demce: è guerra aperta nella Roma criminale!

Un ordigno artigianale è stato piazzato lo scorso 15 luglio sotto casa di Elvis Demce, boss albanese legato alla criminalità romana. L’intervento degli artificieri ha evitato l’esplosione, ma il messaggio è chiaro: un avvertimento pesante diretto a uno dei personaggi più discussi del sottobosco criminale capitolino.
Il giorno prima dell’attentato, un’inchiesta dei carabinieri aveva portato all’arresto di 14 persone, ricostruendo anche il ruolo di Demce in un sequestro organizzato tramite un gruppo di sudamericani. Gli stessi che, poco dopo, sarebbero stati coinvolti nella gambizzazione di Giancarlo Tei, ex alleato di Demce oggi latitante.
Le ipotesi investigative parlano di una possibile faida interna tra i reduci della “batteria di Ponte Milvio”, legata al defunto Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik. Tanti anche i nemici esterni: da Giuseppe Molisso del clan Senese a Ermal Arapaj.
Demce, condannato in via definitiva a 15 anni, è detenuto ad Ascoli, dove è in cura per problemi psichiatrici certificati da 17 perizie. Ora la Direzione Distrettuale Antimafia vuole capire: è un nuovo capitolo della guerra criminale o qualcuno teme che il boss voglia collaborare?
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