Cronaca
Emanuela Orlandi, un uomo avrebbe confessato: “Ho rapito io la 15enne”
Emanuela Orlandi, la rivelazione in un verbale visionato dal quotidiano La Repubblica
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Svolta nel caso di Emanuela Orlandi. Avrebbe finalmente un nome e un volto l’autore della sparizione della ragazza, avvenuta a Roma il 22 giugno 1983. Si tratterebbe di Marco Sarnataro, figlio di quel Salvatore che era uno degli uomini più fidati di Enrico De Pedis. Proprio la Banda della Magliana avrebbe infatti affidato al ragazzo il compito di rapire Emanuela. Almeno questo è quanto racconta lo stesso padre, in un verbale datato 2008.
EMANUELA ORLANDI, IL RAPITORE RICONOSCIUTO DA DUE TESTIMONI
Marco, deceduto nel 2007, era stato tra i testimoni sentiti dalla Mobile. Secondo due amici della 15enne, infatti, uno sconosciuto li avrebbe seguiti per giorni, salvo poi sparire poco dopo il rapimento. Gli stessi lo avrebbero poi riconosciuto, tramite alcune fotografie: “E’ lui senza dubbio – dissero – Ci seguiva in modo ossessivo“. Le indagini permisero quindi di arrivare al ragazzo, allora appena 21enne. Che, prosegue Repubblica, in cambio del servigio, ricevette dal boss ‘Renatino’ una Suzuki 1100.
EMANUELA ORLANDI, LA CONFESSIONE AL PADRE
Sarebbe stato lui stesso a confessare al padre il rapimento, effettuato insieme ad un commando. Glielo avrebbe confidato nel carcere di Regina Coeli, dove si trovavano entrambi reclusi, durante l’ora d’aria. “Mi disse – racconta Salvatore nel verbale – che per parecchi giorni lui, Ciletto e Giggetto pedinarono Emanuela Orlandi per le vie di Roma. Glielo aveva ordinato Enrico De Pedis, che loro chiamavano ‘il Presidente’“.
Cronaca
Prime dieci sospensioni effettuate
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Rientro amaro per alcuni studenti romani che ieri hanno ripreso le lezioni in presenza, mentre sono iniziate le sospensioni per coloro coinvolti nelle recenti occupazioni. Al liceo classico Virgilio, la sanzione ha colpito un solo studente per la sua partecipazione a varie mobilitazioni, inclusa una protesta in cui è stata bruciata una foto del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Per lui sono stati disposti 10 giorni di sospensione, con la curiosità su eventuali misure disciplinari per gli altri coinvolti.
Al liceo Cavour, dieci studenti hanno subito sanzioni, la cui durata è iniziata ieri, sebbene l’obbligo di frequenza sia mantenuto. I ragazzi hanno infatti organizzato un sit-in di protesta contro le “misure di repressione”, evidenziando le punizioni disciplinari che comportano fino a 15 giorni di sospensione, ore di volontariato con la comunità di Sant’Egidio e letture di “Il maestro e Margherita” di Bulgakov e “Contro il fanatismo” di Amos Oz.
I DANNI
Il tema delle sanzioni è strettamente legato al risarcimento danni. I collettivi studenteschi stanno attivando raccolte fondi anonime per evitare che solo pochi vengano identificati come responsabili. Al Morgagni sono stati raccolti oltre 4700 euro, mentre al Virgilio la somma ha superato i tremila. Due studenti del Visconti sono stati individuati come responsabili sulla base di una foto pubblicata su Instagram e dovranno coprire un risarcimento di 7200 euro. Gli studenti di Visconti avvertono che, in caso di mancato risarcimento, potrebbero affrontare un processo penale con la costituzione di parte civile da parte del ministro Valditara.
LA RIAPERTURA
In contrasto, il rientro per gli studenti del liceo Gullace di Roma è stato più gratificante, poiché sono tornati nella sede centrale dopo due mesi di chiusura. La struttura di piazza dei Cavalieri del Lavoro era stata chiusa per lavori di messa in sicurezza sismica. Dopo disagi legati a incendi e trasferimenti, dal 7 gennaio l’edificio ha riaperto, accogliendo nuovamente studenti con 22 aule riattivate. Daniele Parrucci ha spiegato che sono stati forniti banchi e sedie mancanti, e che sono stati eseguiti interventi di manutenzione per garantire l’operatività dell’edificio in sicurezza.
Cronaca
Furti e aggressioni nelle abitazioni di coppie di anziani, arrestata la banda
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Pericolosi, violenti e specializzati in furti in abitazione. Cinque banditi sono stati arrestati dai carabinieri di Frascati dopo aver messo a segno otto colpi tra Grottaferrata, Centocelle e Fidene tra l’11 e il 27 novembre. Le indagini hanno incluso pedinamenti, intercettazioni telefoniche e satellitari. La “centrale operativa” della banda era situata nel campo rom di via dei Gordiani, dove è stato arrestato il capo, Luigi D. G., di 54 anni, insieme alla compagna, Laura M., di 34 anni. Tre altri complici, già in carcere per reati analoghi, erano Valentino M., di 27 anni, Florin T. e Alex M., entrambi di 24 anni.
LA SEQUENZA
La banda operava con modalità collaudate. A bordo di una Jeep Renegade noleggiata, il capo accompagnava i complici nei luoghi dei furti, prendendo di mira abitazioni di anziane coppie. Il primo allarme era scattato l’11 novembre a Grottaferrata, dove hanno fatto irruzione in due appartamenti, rubando oggetti per un valore di 10mila euro. Una vicina, insospettita, ha fotografato la targa del veicolo, attivando il “Targa System”. Dopo, i ladri hanno continuato a colpire, aggredendo anche un anziano in casa sua il 16 novembre con minacce di morte.
SOTTO LA LENTE
Le indagini non si fermano qui. Le utenze telefoniche del capo e della compagna continuano a essere monitorate anche dopo gli arresti. I complici detenuti hanno contattato Luigi D. G. e Laura M. tramite telefoni a loro disposizione in carcere. Nelle conversazioni registrate, hanno chiesto aiuti economici e minacciato di denunciarli se non ricevessero supporto. Gli investigatori stanno dunque esaminando un secondo filone d’indagine riguardante il traffico di telefoni e sim all’interno delle carceri.
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