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Brusca frenata al salario minimo: Meloni e Cnel hanno vinto

La questione politica sul Salario Minimo ha si dall’inizio della campagna elettorale delle scorse elezioni avuto un una posizione di spicco sopra tutti gli altri temi.

La questione si era poi portata dalle urne in parlamento, dove le opposizioni ne hanno fatto largo uso per colmare lo svantaggio con il governo, ottenendo un buon riscontro popolare.

Quello che Giorgia Meloni si trovava davanti era quindi un grosso macigno che il solo governo non poteva più frenare, si è ricorso quindi ad un aiutino esterno.

Il Cnel in questo caso è stato salvifico per la Meloni e la sua politica, dato che la lady d’Italia ha rimesso la questione proprio al Consiglio Nazionale Economia e Lavoro.

Ad infittire la trama arriva un altro dettaglio, il Presidente del Cnel è l’Ex Ministro Brunetta, storico fr0onteggiatore del salario minimo, ma grande fiancheggiatore della destra.

Quindi l’organo che per costituzione dovrebbe essere super-partes e apolitico si è trasformato in un macchinario del governo impegnato nell’affossamento del salario minimo.

Il Cnel ha confermato quindi la versione di Meloni: il salario minimo non è cruciale quanto la contrattazione collettiva. Questa posizione politica sancisce un brusco passo indietro del governo.

La probabilità che il salario minimo non venga nemmeno menzionato dal testo della legge di bilancio, finendo prorogato a data da destinarsi fino ad una nuova mossa delle opposizioni.

Una vittoria politica importante per Meloni, che dopo mesi di tira e molla ha trovato la giusta combinazione per togliersi di mezzo un pericolo per il suo Governo.

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