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Autopsia sul gatto di Angri conferma: colpevole un essere umano
<h3>Esiti dell’autopsia sul gatto Leone
L’autopsia condotta sul gatto Leone, trovato scuoiato ad Angri e deceduto pochi giorni dopo, ha confermato che si è trattato di un atto volontario da parte di un essere umano. Questa tragica conclusione esclude l’ipotesi iniziale che attribuiva la condizione dell’animale a un incidente stradale. Secondo il sindaco di Angri, Cosimo Ferraioli, che ha comunicato la notizia tramite un post su Facebook, l’animale sarebbe stato seviziato e poi abbandonato.
Risultati ufficiali e indagini in corso
Il sindaco Ferraioli ha dichiarato che le analisi istologiche e l’esame autoptico hanno confermato lo scuoiamento da parte di un essere umano. Le indagini della Procura continuano ancora, con l’auspicio che la verità emerga al più presto. Ferraioli ha inoltre chiesto alla cittadinanza di mantenere la fiducia nelle istituzioni e di affidarsi a una corretta informazione mentre le autorità competenti portano avanti le indagini nei tempi e nelle modalità previste dalla legge.
Il ritrovamento e la storia del gatto Leone
Leone, come era stato affettuosamente chiamato, era stato trovato in condizioni disperate sul ciglio di una strada ad Angri il 7 dicembre dal veterinario Luigi Toro. Successivamente, era stato trasferito all’ambulatorio Asl di Cava de’ Tirreni, dove è deceduto il 10 dicembre. La storia del gatto era stata diffusa dalla Lega del Cane di Cava de’ Tirreni, che gestisce la pagina Facebook del canile municipale locale.
Azioni legali e richieste di giustizia
A seguito di questa tragica vicenda, è stata presentata un’informativa di reato alla Procura di Nocera Inferiore, che ha aperto un fascicolo di indagine. Il veterinario Torio ha effettuato l’autopsia, confermando le ferite compatibili con uno scuoiamento. Il 17 dicembre, ad Angri, si è svolta una fiaccolata per chiedere giustizia per Leone.
Conseguenze legali per i responsabili
Fanpage.it ha intervistato l’avvocato penalista Giuseppe Di Palo per avere un parere legale sulla vicenda. Di Palo ha spiegato che, se verrà accertata la natura dolosa dell’atto, il responsabile potrebbe rischiare una pena massima di 27 mesi di reclusione e una multa fino a 30mila euro. È possibile che la pena detentiva venga scontata tramite lavori di volontariato, evitando così la reclusione in carcere.