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Detenzione Illegittima: La Battaglia di Chi Lotta Contro i Disturbi Mentali

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Detenzione Illegittima: La Battaglia di Chi Lotta Contro i Disturbi Mentali

Rinchiusa per nove mesi: la storia di Camelia e il suo bisogno di aiuto

La vicenda di Camelia, una donna con gravi problemi psichiatrici, mette in luce le difficoltà e le ingiustizie che molte persone devono affrontare nei centri di rimpatrio. A raccontare la sua storia sono stati l’avvocato Gennaro Santoro e il medico Nicola Cocco, che hanno supportato Camelia nel suo percorso verso il trattamento adeguato, dopo la condanna della Corte Europea dei Diritti Umani (Cedu) a favore della sua liberazione.

Camelia: la mancanza di speranza nei centri di rimpatrio

I centri per il rimpatrio sono spesso visti come luoghi privi di prospettive di vita. Dentro queste strutture, le persone non vivono, ma sopravvivono, perdendo ogni speranza di un futuro migliore, sia nel paese che li ospita che in quello di origine. I tentativi di suicidio, alcuni di successo, come quello di Ousmane Sylla lo scorso febbraio, testimoniano le drammatiche condizioni che regnano in queste strutture.

Nonostante la sua situazione psichiatrica delicata, Camelia è stata trasferita in un centro per il rimpatrio. Gli avvocati Santoro e Cocco, insieme alle deputate Rachele Scarpa ed Eleonora Elvi, hanno lottato per far sì che Camelia ricevesse l’aiuto di cui aveva bisogno. Questa battaglia ha attirato l’attenzione della Cedu, che ha ordinato al governo italiano di liberare Camelia e garantirle le cure necessarie.

Le condizioni di salute di Camelia: il parere del dottor Cocco

Non tutti i casi di salute mentale all’interno di centri di rimpatrio sono chiari, ma la situazione di Camelia lo è. Arrivata a fine ottobre 2023, proveniente da Catania, ha subito rifiutato ogni contatto umano. Sebbene siano stati effettuati esami di routine, non è mai stato fatto un serio controllo sulla sua salute mentale. La prassi di questi centri è ben diversa rispetto al carcere, dove i controlli sono più rigorosi.

Il dottor Nicola Cocco ha commentato: “Camilla non avrebbe dovuto trascorrere neanche un giorno in quella struttura. I centri per il rimpatrio sono ambienti tossici. Qui dentro, chiunque può ammalarsi, figuriamoci qualcuno con una storia di sofferenza alle spalle”.

Il bisogno di aiuto: un grido inascoltato

Sin dall’inizio della sua permanenza, Camelia ha mostrato evidenti segni di disagio. “Non ha mai avuto contatti con avvocati o giudici, rifiutando di interagire anche con chi le era vicino – ha spiegato Gennaro Santoro – Poche persone si sono chieste perché il suo comportamento fosse così, era chiaro che avesse bisogno di supporto”.

La storia di Camelia, un racconto di speranza e di lotta, ha attirato l’attenzione solo un mese fa, grazie agli sforzi dei suoi legali e ad una denuncia pubblica. La Corte Europea dei Diritti Umani ha riconosciuto che la sua permanenza nel centro era inaccettabile e che non aveva ricevuto le cure di cui aveva diritto. Purtroppo, il rinnovo della sua detenzione è avvenuto senza un’adeguata valutazione della sua condizione, evidenziando ancora una volta l’inefficienza e l’illegalità del sistema di rimpatrio.

La realtà dei CPR e l’esperienza di Camelia

In Italia, migliaia di persone si trovano rinchiuse nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), spesso senza aver commesso alcun reato. Queste persone rimangono in attesa di un rimpatrio che spesso non arriva mai, abbandonate a loro stesse. Tra queste c’è Camelia, che ha trascorso oltre nove mesi in una situazione di isolamento e vulnerabilità. La sua permanenza è stata prorogata nonostante le difficoltà e le condizioni precarie in cui si trovava.

Il ruolo dei medici e l’intervento del CEDU

La questione della salute mentale all’interno dei CPR è drammatica. Il CEDU ha recentemente messo in evidenza la necessità di proteggere i diritti dei detenuti e la salute dei pazienti. “Siamo soddisfatti della posizione del CEDU”, afferma il dottor Cocco. “Ciò che conta è che Camelia sia finalmente fuori dal CPR e che possa ricevere le cure di cui ha bisogno”. Tuttavia, il dottore avverte che spesso gli atti di nulla osta per i detenuti sono redatti da medici che hanno scarso tempo e conoscenze delle strutture, creando così un ambiente pericoloso per la salute dei pazienti.

Detenzione e salute mentale: il caso di Camelia

Le condizioni all’interno dei CPR spesso comportano una combinazione di detenzione e abuso di psicofarmaci, oltre a una gestione inadeguata delle fragilità mentali. Il dottor Cocco, insieme ai suoi colleghi, ha notato che per Camelia la vita nel CPR era insostenibile e che necessitava di un ambiente più umano e accogliente. “Dobbiamo estrarla da questa condizione disumana”, afferma, sottolineando l’urgenza di chiudere i CPR e migliorare la qualità della vita per i vulnerabili.

Il nuovo inizio di Camelia

A distanza di un mese dalla sua liberazione, Camelia sta finalmente recuperando. È stata trasferita in una struttura adeguata a Roma, dove può ricevere supporto per i sintomi post traumatici derivanti dall’esperienza vissuta nel CPR. “In breve tempo, abbiamo osservato segni di miglioramento”, racconta il dottor Cocco. “Camelia sta cominciando a ricostruire la sua vita e a ristabilire interazioni sociali”.

La lotta continua per gli altri detenuti

Tuttavia, non è possibile dimenticare che molte altre persone sono ancora prigioniere nei CPR, vivendo situazioni simili a quella di Camelia. La sua storia, pur essendo un importante passo avanti, mette in luce un sistema che deve essere urgentemente riformato. “Senza l’intervento del CEDU,” conclude il dottor Cocco, “saremmo rimasti senza la possibilità di offrire aiuto a Camelia, e tanti altri potrebbero rimanere intrappolati in queste condizioni disumane. La libertà è un diritto fondamentale, e dobbiamo lottare affinchè tutti possano goderne”.

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