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Cronaca

Lettere d’amore inviate dall’assassino di Diabolik alla sorella del boss di Casalotti, Calderon: “Sguardo dritto, ti aspetto”.

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Lettere d’amore inviate dall’assassino di Diabolik alla sorella del boss di Casalotti, Calderon: “Sguardo dritto, ti aspetto”.

Alla fine è un sentimento primordiale, l’amore. Anche nelle sue declinazioni più “lievi” – infatuazione o attrazione fisica a seconda delle occasioni – che tuttavia esula la ragione e si fa largo tanto fra gli uomini onesti quanto fra coloro che finiscono poi imputati di fronte alla Corte d’Assise perché accusati di omicidio volontario aggravato dal metodo mafioso. Ma lui, Raul Esteban Calderon – che si chiamerebbe in realtà Gustavo Aleandro Musumeci anche se nella comparazione delle impronte dei due profili mancherebbero almeno quattro punti per la corrispondenza certa (solitamente fissata a un minimo di 16 punti ndr) – si confessa innocente. Di più: ama e rifiuta anche. Perché appunto tanto primordiale è l’amore tanto scontato è il suo rigetto. All’indomani del suo fermo, nell’ormai lontano dicembre 2021, l’uomo che secondo le indagini della Squadra Mobile esplose il 7 agosto 2019 quell’unico colpo mortale alla nuca di Fabrizio Piscitelli, rinchiuso in carcere iniziò a ricevere una serie di telegrammi da una delle tante donne che hanno fatto parte della sua vita.

LE LETTERE

E pure lei, non è una sconosciuta a investigatori e inquirenti, poiché sorella di un pezzo da novanta della mala romana che da anni “gestisce” una porzione considerevole di interessi criminali avendo la “base” nella periferia Nord-Ovest della Capitale. «Ti amo tantissimo. A presto», scrive laconica la donna in uno dei primi telegrammi desiderosa di rivederlo presto: «Ciao amore mio – prosegue in un’altra breve missiva – dopo il 28 (dicembre 2021 ndr) voglio venire a colloquio, me lo permetti? Ti amo». Calderon-Musumeci però non risponderà mai, provocando così nella donna non una sana e dovuta indifferenza ma un’accesa rabbia preceduta all’inizio dalla rassegnazione. Nulla di più banale per certi versi e pure drammatico per altri, considerato quanto può accadere a epilogo di certe dinamiche. «Dopo 10 mesi di silenzio, ho deciso di riprendere a fare la mia vita, mi rassegno». Calderon nel mentre viene trasferito in un altro penitenziario a causa anche del pestaggio firmato dagli amici albanesi di Piscitelli e continua a non rispondere. Sicché la donna, infastidita per essere rifiutata – e chissà quanto “amore” ferito ci sia davvero – cambia stile e inizia: «Carattere, classe, intelligenza, bellezza e soprattutto dignità! Sguardo dritto, intenso e sicuro! – scrive inviando all’argentino una foto più che posata – rifatte gli occhi e ricordami con un sorriso! Stammi bene». Calderon non risponde e lei torna al primo registro e scrive: «mi manchi da morire» ma aggiunge anche altre frasi che danno la misura di come pure i rapporti dentro determinati contesti siano rapporti squilibrati e malati, con posizioni dominanti e persone dominate. Quasi sempre donne. Ma lei in ragione del suo status che la vede appunto sorella di un boss, di fronte all’ennesimo rifiuto va giù: «I maschietti come te non mi interessano più da tempo sei vuoto come una canna di bambù. A mai più nella vita».

Gli effetti di un amore tormentato

Secondo la difesa dell’argentino per questo rapporto divenuto poi quasi ossessivo sarebbe nato il contatto fra l’imputato e il boss in questione per il tramite di Leandro Bennato, “conterraneo” solo perché entrambi vivono nello stesso quartiere. Mica gli interessi criminali che vanno dalla droga agli omicidi. Le conseguenze dell’amore, prima di tutto.

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Prime dieci sospensioni effettuate

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Rientro amaro per alcuni studenti romani che ieri hanno ripreso le lezioni in presenza, mentre sono iniziate le sospensioni per coloro coinvolti nelle recenti occupazioni. Al liceo classico Virgilio, la sanzione ha colpito un solo studente per la sua partecipazione a varie mobilitazioni, inclusa una protesta in cui è stata bruciata una foto del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Per lui sono stati disposti 10 giorni di sospensione, con la curiosità su eventuali misure disciplinari per gli altri coinvolti.

Al liceo Cavour, dieci studenti hanno subito sanzioni, la cui durata è iniziata ieri, sebbene l’obbligo di frequenza sia mantenuto. I ragazzi hanno infatti organizzato un sit-in di protesta contro le “misure di repressione”, evidenziando le punizioni disciplinari che comportano fino a 15 giorni di sospensione, ore di volontariato con la comunità di Sant’Egidio e letture di “Il maestro e Margherita” di Bulgakov e “Contro il fanatismo” di Amos Oz.

I DANNI

Il tema delle sanzioni è strettamente legato al risarcimento danni. I collettivi studenteschi stanno attivando raccolte fondi anonime per evitare che solo pochi vengano identificati come responsabili. Al Morgagni sono stati raccolti oltre 4700 euro, mentre al Virgilio la somma ha superato i tremila. Due studenti del Visconti sono stati individuati come responsabili sulla base di una foto pubblicata su Instagram e dovranno coprire un risarcimento di 7200 euro. Gli studenti di Visconti avvertono che, in caso di mancato risarcimento, potrebbero affrontare un processo penale con la costituzione di parte civile da parte del ministro Valditara.

LA RIAPERTURA

In contrasto, il rientro per gli studenti del liceo Gullace di Roma è stato più gratificante, poiché sono tornati nella sede centrale dopo due mesi di chiusura. La struttura di piazza dei Cavalieri del Lavoro era stata chiusa per lavori di messa in sicurezza sismica. Dopo disagi legati a incendi e trasferimenti, dal 7 gennaio l’edificio ha riaperto, accogliendo nuovamente studenti con 22 aule riattivate. Daniele Parrucci ha spiegato che sono stati forniti banchi e sedie mancanti, e che sono stati eseguiti interventi di manutenzione per garantire l’operatività dell’edificio in sicurezza.

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Cronaca

Furti e aggressioni nelle abitazioni di coppie di anziani, arrestata la banda

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Pericolosi, violenti e specializzati in furti in abitazione. Cinque banditi sono stati arrestati dai carabinieri di Frascati dopo aver messo a segno otto colpi tra Grottaferrata, Centocelle e Fidene tra l’11 e il 27 novembre. Le indagini hanno incluso pedinamenti, intercettazioni telefoniche e satellitari. La “centrale operativa” della banda era situata nel campo rom di via dei Gordiani, dove è stato arrestato il capo, Luigi D. G., di 54 anni, insieme alla compagna, Laura M., di 34 anni. Tre altri complici, già in carcere per reati analoghi, erano Valentino M., di 27 anni, Florin T. e Alex M., entrambi di 24 anni.

LA SEQUENZA

La banda operava con modalità collaudate. A bordo di una Jeep Renegade noleggiata, il capo accompagnava i complici nei luoghi dei furti, prendendo di mira abitazioni di anziane coppie. Il primo allarme era scattato l’11 novembre a Grottaferrata, dove hanno fatto irruzione in due appartamenti, rubando oggetti per un valore di 10mila euro. Una vicina, insospettita, ha fotografato la targa del veicolo, attivando il “Targa System”. Dopo, i ladri hanno continuato a colpire, aggredendo anche un anziano in casa sua il 16 novembre con minacce di morte.

SOTTO LA LENTE

Le indagini non si fermano qui. Le utenze telefoniche del capo e della compagna continuano a essere monitorate anche dopo gli arresti. I complici detenuti hanno contattato Luigi D. G. e Laura M. tramite telefoni a loro disposizione in carcere. Nelle conversazioni registrate, hanno chiesto aiuti economici e minacciato di denunciarli se non ricevessero supporto. Gli investigatori stanno dunque esaminando un secondo filone d’indagine riguardante il traffico di telefoni e sim all’interno delle carceri.

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