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Liberato dopo 3 anni trascorsi in una stanza, racconta la sua esperienza.

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Liberato dopo 3 anni trascorsi in una stanza, racconta la sua esperienza.

Daniele (nome di fantasia) aveva 15 anni quando ha smesso di andare a scuola. All’inizio non si è fatto molte domande: aveva solo voglia di stare chiuso nella sua stanza, passando il tempo tra film e videogiochi. Poi in quella stanza ci è rimasto per tre anni, senza uscire mai di casa. Daniele è stato un hikikomori, ma oggi, a 23 anni, è riuscito a recuperare gli anni di studio persi e una socialità che prima sembrava minacciosa.

Un rifugio nella solitudine

Tutto è iniziato con il passaggio dalle medie alle superiori. Già dai primi mesi di scuola Daniele inizia a chiudersi, a non voler uscire dal suo appartamento, a Roma. I videogiochi diventano il luogo di rifugio, la dimensione fantastica in cui nascondersi quando si perde interesse per la vita reale, perché lì dopo un errore si può cancellare tutto e ricominciare da capo. Così Daniele perde giorni di lezione, che con il tempo iniziano ad accumularsi. «Ho abbandonato la scuola nei primi mesi delle superiori, e l’ho ripresa solo 4 anni dopo», racconta al Messaggero. Daniele ha trascorso gli anni della sua adolescenza nella sua stanza, scambiando il giorno con la notte. «Gli orari erano sfasati: a volte dormivo di giorno, altre di notte. Avevo perso la cognizione del tempo». Così, nel giro di poco tempo, il ragazzo perde il contatto con la scuola e con gli amici, passa le giornate davanti al pc e dimagrisce vistosamente. «Non avendo orari, spesso saltavo i pasti, così ho perso molto peso». Solo in quel momento, notando il cambiamento del suo corpo, Daniele capisce che c’è qualcosa che non va, che ha bisogno di un aiuto. «Io stesso non mi rendevo conto di avere un problema, ma da soli è difficile accorgersene: ti adagi in una situazione di confort che diventa sempre più statica. E poi non riesci più a uscirne».

Riprendere la vita in mano

Poi, dopo tre anni, inizia una graduale apertura. Riprende a studiare in un centro privato, che gli consente di seguire le lezioni in un ambiente più piccolo. Con il tempo, recupera gli anni persi e riesce a diplomarsi, torna ad aprirsi alla socialità. E oggi fa attività di servizio civile insieme ai bambini. «All’inizio mi spaventava l’idea di stare in contatto con così tante persone, ma ora mi trovo bene». Se Daniele è riuscito a fare passi in avanti è anche grazie agli sforzi del padre, che ha trovato aiuto nell’associazione Genitori di Hikikomori. Un gruppo che in Italia raccoglie più di 5mila persone. Un ambiente in cui le famiglie possono scambiarsi consigli ma anche individuare strategie per i propri figli. «Dire a un ragazzo che si è chiuso in casa che deve andare dallo psicologo è inutile – dice Daniele – un hikikomori non accetterà mai di uscire per andare in un ospedale, a meno che le conseguenze non siano gravissime. Bisogna andarci piano, magari cercando il coinvolgimento degli amici. Non si possono pretendere subito miracoli, bisogna accettare il fatto che ci vorrà tempo. Ma se ne può uscire, facendo un passo dopo l’altro».

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