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Cronaca

“Scandalo in Tribunale: 41 Sotto Accusa con Coinvolgimento di Poliziotti Penitenziari e un Medico!”

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“Scandalo in Tribunale: 41 Sotto Accusa con Coinvolgimento di Poliziotti Penitenziari e un Medico!”

Un’indagine ha rivelato un traffico illecito di beni, tra cui cellulari, sostanze stupefacenti e persino pizze e birre, all’interno del carcere romano di Rebibbia. L’inchiesta ha coinvolto un totale di 41 persone, tra cui agenti di polizia e un medico, con accuse che spaziano dall’associazione a delinquere per lo spaccio di droga alla corruzione.

Dettagli dell’Inchiesta

Le operazioni illecite sono emerse in particolare nel corso del 2020. In questo periodo, i detenuti non solo erano in possesso di cellulari, ma ricevevano anche articoli poco convenzionali per un ambiente carcerario. Un caso particolarmente interessante riguarda un detenuto che ha ricevuto una pizza e una birra nell’ottobre 2020, il tutto per una spesa di 30 euro.

Le indagini, dirette dal pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia (Dda) Carlo Villani, sono state svolte dalla Polizia Penitenziaria e da investigatori del commissariato di Tivoli. Tra le situazioni più sorprendenti, un agente della penitenziaria è stato sorpreso a consegnare pacchi di droga a un detenuto, in cambio di 300 euro. Per mascherare la natura delle sostanze, gli agenti utilizzavano termini come “sigarette” o “regali”.

Oltre il Contrabbando

Le attività sporche non si limitavano al semplice traffico di cibo e stupefacenti. In aggiunta, erano in corso scambi di messaggi segreti e veniva introdotta una pennetta USB, il cui contenuto non è stato ancora reso noto e continua a essere oggetto di indagine. Un medico in servizio presso il carcere è stato accusato di omessa denuncia, in quanto non ha segnalato l’uso di un cellulare da parte di un detenuto, violando così i protocolli di sicurezza stabiliti.

Queste scoperte evidenziano la gravità della situazione all’interno del carcere e pongono interrogativi su come sia possibile che tali pratiche si svolgano indisturbate.

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Cronaca

Kevin Bonifazi: “Cura tecnica, ritmi e disciplina un mix vincente che ho imparato a Tor Tre Teste”

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Kevin Bonifazi: “Cura tecnica, ritmi e disciplina un mix vincente che ho imparato a Tor Tre Teste”

Kevin Bonifazi, difensore classe ’96 oggi al Sassuolo, ha raccontato a Repubblica la sua gavetta dal quartiere popolare di Roma Est al calcio professionistico, tra sacrifici e una carriera frenata da infortuni. #Calcio #StorieDiSport #Sassuolo #Roma


La scoperta del calcio vero

«Alla Tor Tre Teste ho capito cos’è davvero il calcio». Kevin Bonifazi, difensore classe ’96, oggi al Sassuolo, è cresciuto tra i campi del Lazio. Oltre 170 presenze tra i professionisti, di cui 125 in Serie A. Ma prima di Torino, Spal, Udinese, Bologna, c’è stata Roma Est.

Quando ha iniziato a giocare?

«Da bambino, nel mio paese: Toffia, in provincia di Rieti. A dieci anni mio padre portò me e mio fratello al Tor di Quinto, poi passammo alla Tor Tre Teste. Lavorava su Roma e voleva che giocassimo in una società strutturata. Mio fratello era molto più bravo di me. Io ero normale, diciamo».

Perché anche tu?

«Mio padre chiese di prendere anche me, perché era troppo complicato gestirci in due posti diversi. Il presidente di allora scherzando disse: “Lascialo qua, è grosso, vediamo che sa fare”. Mi misero nella seconda squadra».

E com’è andata?

«All’inizio giocavo poco, a volte nemmeno mi convocavano. Ma l’anno dopo sono arrivato migliorato fisicamente e tecnicamente. In poco tempo sono diventato il capitano».

È stato il momento più bello?

«Più o meno. Giocammo la finale Giovanissimi Nazionali, vincendola 3-0. Ma fu annullata perché facemmo un cambio in più. Le lacrime si sono sprecate».

Poi il passaggio al Siena

«La Tor Tre Teste aveva un accordo che ogni anno prevedeva una prelazione su cinque giocatori. Io ero tra quelli. Ricordo il primo allenamento: eravamo timidi, ma in campo dominammo. Ci presero tutti e cinque».

Quanto ha inciso la Tor Tre Teste in quel salto?

«Tantissimo. Quando sono arrivato a Siena ho capito quanto mi avessero preparato bene. È una società dilettantistica ma lavora come un club professionistico. Ti formano, ti abitua a ritmi, disciplina, cura tecnica. Vai in un club pro e sei già pronto».

Il ricordo più bello?

«Fu una sgridata. Di ritorno da una trasferta, sul pullman intonammo un coro in previsione dell’arrivo all’Autogrill. Un dirigente ci zittì: “Se vi azzardate a prendere qualcosa senza pagare vi mandiamo via e vi denunciamo”. Eravamo ragazzi svegli, ma ci tenevano in riga. La società era molto attenta al comportamento».

Rieti-Roma tutti i giorni, difficile?

«Sì, ma non ci pesava. Io e mio fratello uscivamo di casa alle 8 con la borsa di scuola e quella del calcio. Un chilometro e mezzo a piedi fino alla stazione, 45 minuti di treno, 25 di metro, poi la navetta della società da Ponte Mammolo. Quattro volte a settimana. Tornavamo a casa alle otto di sera. Oggi non lo rifarei mai».

Oggi il Sassuolo, come va?

«Negli ultimi due anni ho subito tre operazioni allo stesso ginocchio e questo ha frenato la mia carriera. Ho scelto di ripartire da una categoria inferiore, ma in una società che lavora da Serie A in tutto. Ieri siamo stati promossi ma mi auguro di vincere il mandato. A livello personale questo per me è un nuovo inizio».

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Tor Tre Teste e il calcio in vetrina: quel che conta è farsi vendere

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Tor Tre Teste e il calcio in vetrina: quel che conta è farsi vendere

In un mondo dove il calcio giovanile sembra più una vetrina per trofei che una fucina di talenti, il presidente D’Adamo ribalta la prospettiva: "La vera vittoria è quanti ragazzi finiscono nei professionisti. Meno i titoli messi in bacheca". Ecco la rivoluzione silenziosa del calcio giovanile. #CalcioGiovanile #RivoluzioneSilenziosa #ProfessionistiDelFuturo


Un Modello Sostenibile

Un modello sostenibile fondato sul mercato e non sui trofei. Il presidente D’Adamo: "La vera vittoria è quanti ragazzi finiscono nei professionisti. Meno i titoli messi in bacheca"


La Rivoluzione del Calcio Giovanile

In un’epoca dove il calcio giovanile è spesso ridotto a una corsa sfrenata per accumulare trofei, il presidente D’Adamo propone una visione alternativa. "La vera vittoria è quanti ragazzi finiscono nei professionisti. Meno i titoli messi in bacheca" Ecco una rivoluzione che potrebbe cambiare il volto del calcio giovanile italiano, puntando sulla crescita dei giovani piuttosto che sulla collezione di medaglie. #CalcioGiovanile #RivoluzioneSilenziosa #ProfessionistiDelFuturo

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