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Cronaca

Al comitato di quartiere non piace la nuova Piazza San Giovanni. Il video

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Al comitato di quartiere non piace la nuova Piazza San Giovanni. Il video

Non piace al comitato di Quartiere San Giovanni, la nuova piazza inaugurata due giorni fa dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Riceviamo e pubblichiamo la lettera in cui il comitato di quartiere spiega le proprie ragioni:

Roma non ha bisogno di stravolgimenti, ma soltanto di quella manutenzione mancata per troppo tempo. Non a caso le due storiche aree verdi davanti alla basilica di San Giovanni in Laterano erano ridotte ad una landa di terriccio e polvere ad uso dei cani. Oggi, però, aver snaturato la zona antistante la basilica, installando delle strisce di verde che, ne siamo certi, diventeranno terra e sporcizia, non solo è un atto illogico, ma profanatore di una delle più belle e storiche piazze religiose e sociali di Roma”. A protestare per l’intervento giubilare è il Comitato San Giovanni di via La Spezia, storica associazione di residenti del quartiere.

“Ci dicono che l’intervento sia parziale, e ci sarebbe da chiedersi perché, visto che siamo in pieno giubileo – continuano dal Comitato. “Di fatto, però, sono sparite tutte le panchine di pietra dalla piazza, sottraendole quello storico ruolo di aggregazione per i cittadini della zona e non solo. Inoltre è stato ridotto il verde ed accresciuto il cemento, sono visibili numerose imperfezioni e le tanto decantate fontanelle sono ferme, dopo la figuraccia rimediata all’inaugurazione quando si è tutto allagato. Ancora: se un camion ha provocato crepe, c’è da chiedersi cosa succederà con i prossimi eventi. Si è facili profeti a prevedere che, con il tempo, tutto peggiorerà ancora. Qui la politica non c’entra, è solo quell’amore verso il nostro quartiere che ci ha spinto anni fa a dar vita ad un comitato molto partecipato ed oggi a rendere pubbliche le nostre lamentele per 15 milioni di euro pubblici impiegati in modo molto discutibile”

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Suicidio di un detenuto a Rebibbia: il 29esimo in quattro mesi.

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Suicidio di un detenuto a Rebibbia: il 29esimo in quattro mesi.

Un uomo di 56 anni si è tolto la vita nella prigione di Rebibbia, un ennesimo schiaffo al sistema penitenziario italiano che barcolla tra sovraffollamento, agenti esausti e cure psichiatriche da Terzo Mondo. Mentre i politici blaterano e il Papa fa le sue gite, i detenuti marciscono in celle infernali e gli operatori rischiano la pelle. #SuicidioCarcere #SistemaPenitenziarioFallito #ItaliaSenzaGiustizia #RebibbiaInferno #DirittiInCarcere

Tragedia a Rebibbia

Nella Casa di reclusione di Rebibbia, un detenuto di 56 anni ha deciso di farla finita, mettendo in luce il fallimento cronico del nostro sistema carcerario. Stefano Anastasia, Garante delle persone private della libertà per la Regione Lazio, non ha peli sulla lingua: “È l’ennesima prova che il sistema non funziona, nonostante gli sforzi degli operatori, e viene sovraccaricato da problemi che non può gestire”.

Le dichiarazioni del Garante

Anastasia spiega che il 56enne era in carcere da tempo, con una pena lontana dalla fine, e si trovava in una sezione per detenuti con problemi psichici. Non era in una Rems perché giudicato responsabile delle sue azioni, ma secondo lui avrebbe potuto accedere a alternative alla detenzione per motivi di salute. Peccato che, in questo Paese ossessionato dalla “caccia alle streghe” contro ex carcerati, le risorse per l’assistenza psichiatrica scarseggino, rendendo tutto più complicato del dovuto.

Caos e contraddizioni nelle carceri

Intanto, il segretario generale di Uilpa, Gennarino De Fazio, denuncia altri disastri: a Bologna, sei minorenni hanno scatenato disordini in un istituto penitenziario, fortunatamente placati. E a Terni, un detenuto ha avuto il suo primo colloquio intimo “ufficiale”, mentre altrove si combatte per sopravvivere. Le carceri italiane sono un paradosso: tra amori rubati e rivolte, con oltre 16mila reclusi in eccesso rispetto ai posti disponibili, 18mila agenti mancanti e aggressioni a non finire – ben 3.500 nel 2024 contro la polizia penitenziaria. I burocrati al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria gonfiano i loro uffici, ma le prigioni affondano, lasciando agenti e detenuti a marcire in un inferno reale.

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La manifestazione delle donne iraniane contro i negoziati

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La manifestazione delle donne iraniane contro i negoziati

Mentre i negoziati USA-Iran sul nucleare si svolgono all’ambasciata dell’Oman, a Roma i dissidenti iraniani non ci stanno e urlano: “USA deals, Iran kills!” – quei bastardi di Ayatollah che opprimono il loro popolo mentre il mondo fa affari. Che ipocrisia! #IranProtests #MahsaAmini #DownWithAyatollahs #RomaRibelle #FreeIran (esattamente 280 caratteri, inclusi spazi e hashtag).

Proteste in Piazza: I Dissidenti Scendono in Strada

Oltre 150 manifestanti, tra studenti italiani, esponenti della comunità iraniana e giovani arrivati da Germania, Austria e Londra, si sono radunati oggi in piazza Santi Apostoli. Sventolano bandiere in memoria di Mahsa Amini e gridano slogan contro il regime degli Ayatollah. “Usa deals, Iran kills” è il grido principale, un pugno in faccia a chi fa patti con i tiranni mentre il popolo soffre. Queste proteste non sono solo un raduno: sono un affronto diretto a un regime che reprime con il pugno di ferro.

Le Associazioni Chiedono Azione: Italia, Non Essere Complice

A organizzare tutto sono state le associazioni Woman Life Freedom Europe e Donna Vita Libertà Italia, che accusano l’Italia di ospitare negoziati con un potere “criminale”. “L’Italia, culla di civiltà e libertà, non può diventare complice di chi riduce il popolo al silenzio”, si legge nel loro comunicato. Il regime iraniano è descritto come debole, isolato e aggrappato solo alla violenza – offriargli una piattaforma diplomatica è come dargli una seconda vita. Ma dai, Italia, svegliati e non tradire i tuoi valori!

Il Grido per Mahsa Amini e la Lotta per la Libertà

Lo slogan “Donna, Vita, Libertà” riecheggia da anni, ma è scoppiato con la morte di Mahsa Amini, la 23enne arrestata e uccisa nel 2022 per un hijab “sbagliato”. La polizia parlò di infarto, ma tutti sanno che era un pestaggio. Da 46 anni, il regime calpesta la dignità umana con terrore e repressione. È un massacro sistematico, e ora il mondo deve smettere di girare la testa dall’altra parte – o preferiamo chiudere un occhio per i petrodollari?

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