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Discriminazioni in polizia: “Pochi passi avanti sono stati fatti dall’ingresso delle donne nel 1981”

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Discriminazioni in polizia: “Pochi passi avanti sono stati fatti dall’ingresso delle donne nel 1981”

Da oltre 40 anni, le donne sono presenti nella Polizia di Stato, ma persistono differenze significative rispetto ai colleghi maschi. In occasione della Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne, il Gruppo Donne Silp Cgil ha lanciato un appello denunciando discriminazioni, molestie e la mancanza di tutele, evidenziando che “non può continuare così”.

Discriminazione e molestie

Le poliziotte, come Lucia, riportano esperienze negative sul posto di lavoro. Lucia ha affermato: “Non mi sento tutelata dall’amministrazione. A quaranta anni dall’ingresso delle donne in polizia di Stato ci sono stati pochi passi avanti. E spesso, come dimostra la mia storia, subiamo degli atteggiamenti e delle molestie inaccettabili”. Secondo il sindacato, queste problematiche sono quotidiane e interessano tutte le donne in servizio.

Codice di abbigliamento obsolete

Il Gruppo Donne Silp Cgil sottolinea che “in Polizia di Stato continua ad essere presente un codice di abbigliamento obsoleto”, che obbliga le poliziotte a indossare gonne, mentre gli uomini portano pantaloni. Inoltre, nel concorso per diventare poliziotte, sono valutate anche cicatrici o tatuaggi, un aspetto che non viene applicato agli uomini. Questo inizia a limitare le opportunità professionali già dalle prime fasi di ingresso nella forza di polizia.

Lavoro di cura e disparità salariale

Il sindacato denuncia anche l’assenza di riconoscimento per il lavoro di cura e domestico non retribuito, che ostacola la carriera delle donne. “Questa disparità è ulteriormente amplificata dalla mancanza di norme che permettano una condivisione proporzionale delle responsabilità tra i genitori”, affermano. Inoltre, si evidenzia la disparità di retribuzione: “La struttura stipendiale, apparentemente paritaria, maschera profonde disuguaglianze derivanti dalle aspettative sociali”. Il Gruppo Donne Silp Cgil richiede quindi una revisione del codice di abbigliamento e politiche per affrontare il divario salariale, promuovendo un ambiente lavorativo più equo.

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Sabrina Minardi è morta: le indagini sulla scomparsa di Emanuela furono riaperte da lei

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Sabrina Minardi è morta: le indagini sulla scomparsa di Emanuela furono riaperte da lei

Il caso di Emanuela Orlandi continua a far discutere, soprattutto dopo la morte di Sabrina Minardi, avvenuta a 65 anni. Minardi, ex moglie di Bruno Giordano e partner del boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis, aveva avuto un ruolo cruciale nelle indagini sulla scomparsa di Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983. Le sue dichiarazioni nel 2006 hanno portato alla riapertura del caso e a una nuova inchiesta, conclusa circa dieci anni dopo con l’arrivo in procura di Giuseppe Pignatone.

Riflessioni e dichiarazioni

La notizia della sua scomparsa è stata data dalla giornalista Raffaella Notariale, che aveva collaborato con Minardi alla stesura del libro ‘La supertestimone del caso Orlandi’. Notariale ha condiviso un post sui social, dicendo: “È morta serenamente come chi sa di aver detto la verità” e sottolineando che non erano stati colti molti degli spunti forniti da Minardi, in particolare riguardo alla Commissione d’inchiesta sul caso.

L’incomunicabilità con Pietro Orlandi

Nonostante il suo contributo al caso, Minardi non era mai stata convocata dalla commissione bicamerale d’inchiesta. Pietro Orlandi ha commentato la sua morte, esprimendo il dispiacere per non essere mai riuscito a incontrarla. “Ho provato tante volte ad incontrarla ma non ha mai voluto,” ha dichiarato, evidenziando l’assenza di attenzione nei suoi confronti da parte delle autorità competenti.

La figura di Enrico De Pedis, legata alla scomparsa di Emanuela Orlandi, continua a essere discussa, con esperti e ex investigatori che ritengono che Minardi avrebbe potuto fornire ulteriori chiarimenti cruciali.

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Dopo essere stata massacrata in volto dal marito, scappa in strada con la bimba di un anno e viene salvata dai carabinieri

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Dopo essere stata massacrata in volto dal marito, scappa in strada con la bimba di un anno e viene salvata dai carabinieri

Una donna ha trovato il coraggio di scappare in auto da Roma, in un’azione disperata per fuggire dalla violenza del marito, il quale l’aveva colpita violentemente in volto. In braccio alla donna si trovava la figlia di un anno, spaventata dalla situazione.

Intervento dei Carabinieri

È accaduto nel quartiere di San Lorenzo, dove una pattuglia di carabinieri ha notato un’automobile ferma a bordo strada. L’intervento tempestivo ha portato alla scoperta della donna con il volto tumefatto e segni evidenti di violenza. I carabinieri, dopo averle chiesto se avesse bisogno di aiuto, hanno immediatamente attivato i soccorsi e trasportato la vittima all’ospedale San Giovanni Addolorata, dove è stata dimessa con una prognosi di sette giorni.

L’arresto del marito

In seguito a indagini sul caso, i carabinieri della Stazione di Roma San Lorenzo hanno arrestato il marito della donna, un trentenne originario del Perù, gravemente indiziato di maltrattamenti contro familiari conviventi. Il Tribunale di Roma ha convalidato l’arresto e l’uomo è stato trasferito nel carcere di Regina Coeli.

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