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Sabrina Minardi è morta: le indagini sulla scomparsa di Emanuela furono riaperte da lei

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Sabrina Minardi è morta: le indagini sulla scomparsa di Emanuela furono riaperte da lei

Il caso di Emanuela Orlandi continua a far discutere, soprattutto dopo la morte di Sabrina Minardi, avvenuta a 65 anni. Minardi, ex moglie di Bruno Giordano e partner del boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis, aveva avuto un ruolo cruciale nelle indagini sulla scomparsa di Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983. Le sue dichiarazioni nel 2006 hanno portato alla riapertura del caso e a una nuova inchiesta, conclusa circa dieci anni dopo con l’arrivo in procura di Giuseppe Pignatone.

Riflessioni e dichiarazioni

La notizia della sua scomparsa è stata data dalla giornalista Raffaella Notariale, che aveva collaborato con Minardi alla stesura del libro ‘La supertestimone del caso Orlandi’. Notariale ha condiviso un post sui social, dicendo: “È morta serenamente come chi sa di aver detto la verità” e sottolineando che non erano stati colti molti degli spunti forniti da Minardi, in particolare riguardo alla Commissione d’inchiesta sul caso.

L’incomunicabilità con Pietro Orlandi

Nonostante il suo contributo al caso, Minardi non era mai stata convocata dalla commissione bicamerale d’inchiesta. Pietro Orlandi ha commentato la sua morte, esprimendo il dispiacere per non essere mai riuscito a incontrarla. “Ho provato tante volte ad incontrarla ma non ha mai voluto,” ha dichiarato, evidenziando l’assenza di attenzione nei suoi confronti da parte delle autorità competenti.

La figura di Enrico De Pedis, legata alla scomparsa di Emanuela Orlandi, continua a essere discussa, con esperti e ex investigatori che ritengono che Minardi avrebbe potuto fornire ulteriori chiarimenti cruciali.

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Dopo essere stata massacrata in volto dal marito, scappa in strada con la bimba di un anno e viene salvata dai carabinieri

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Dopo essere stata massacrata in volto dal marito, scappa in strada con la bimba di un anno e viene salvata dai carabinieri

Una donna ha trovato il coraggio di scappare in auto da Roma, in un’azione disperata per fuggire dalla violenza del marito, il quale l’aveva colpita violentemente in volto. In braccio alla donna si trovava la figlia di un anno, spaventata dalla situazione.

Intervento dei Carabinieri

È accaduto nel quartiere di San Lorenzo, dove una pattuglia di carabinieri ha notato un’automobile ferma a bordo strada. L’intervento tempestivo ha portato alla scoperta della donna con il volto tumefatto e segni evidenti di violenza. I carabinieri, dopo averle chiesto se avesse bisogno di aiuto, hanno immediatamente attivato i soccorsi e trasportato la vittima all’ospedale San Giovanni Addolorata, dove è stata dimessa con una prognosi di sette giorni.

L’arresto del marito

In seguito a indagini sul caso, i carabinieri della Stazione di Roma San Lorenzo hanno arrestato il marito della donna, un trentenne originario del Perù, gravemente indiziato di maltrattamenti contro familiari conviventi. Il Tribunale di Roma ha convalidato l’arresto e l’uomo è stato trasferito nel carcere di Regina Coeli.

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Le molestie sul lavoro raccontate da una poliziotta: “Ho parlato e il trasferimento mi è stato proposto dai superiori”

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Le molestie sul lavoro raccontate da una poliziotta: “Ho parlato e il trasferimento mi è stato proposto dai superiori”

In un’intervista rilasciata a Fanpage.it, Lucia, una poliziotta (nome di fantasia), racconta le discriminazioni e le molestie che subiscono le donne all’interno della Polizia di Stato. “È mortificante – esordisce Lucia – Ma è proprio la polizia che dovrebbe tutelare la società che non supporta le colleghe. Qui l’uguaglianza è solo formale”. La sua denuncia si intensifica in occasione della Giornata Internazionale della Donna dell’8 marzo, quando decide di condividere le esperienze che accomunano molte colleghe.

Discriminazioni quotidiane

Lucia spiega che le molestie sessuali sono un fenomeno comune: “Non è normale nel 2025. Sembra che i loro corpi vivevano in quest’anno, le loro menti sono rimaste chiuse al secolo scorso.” Le microaggressioni avvengono regolarmente e includono battute sessualmente esplicite e invadenti. “Oggi te la sei rasata?” è solo un esempio di come i colleghi interagiscono con le donne, aumentando il malessere quotidiano. Lucia menziona anche che le molestie provengono, talvolta, anche dai superiori, creando un clima di paura e isolamento.

Il silenzio dell’amministrazione

Nonostante le gravi situazioni, Lucia osserva che denunciare comporterebbe conseguenze sul lavoro: “Denunciare la situazione porterebbe all’apertura di un procedimento disciplinare.” A volte, piccole forme di violenza psicologica vengono minimizzate: “Forse stai esagerando,” è la risposta che riceve quando cerca di segnalare l’accaduto. Lucia descrive come questi eventi non solo danneggiano la fiducia nelle istituzioni ma creano un contesto in cui le poliziotte si sentono spesso sole e senza supporto.

Disparità nel trattamento

Le differenze non si fermano alle molestie ma iniziano già durante il concorso di ammissione, dove le donne affrontano controlli specifici sui tatuaggi e sull’abbigliamento. “Dopo oltre quarant’anni, infatti, la divisa di rappresentanza per le poliziotte resta quella con la gonna al ginocchio.” Inoltre, racconta come più volte si è sentita relegata a determinati compiti proprio a causa del suo genere. La sua esperienza mette in luce una cultura lavorativa che non considera le capacità delle donne in modo equo rispetto ai colleghi maschi.

La testimonianza di Lucia evidenzia un problema sistemico che non solo danneggia le donne all’interno della Polizia ma solleva interrogativi sulle misure di supporto offerte dall’amministrazione. Conclude con una nota di determinazione: “Tutti devono sapere. Nessuna deve più sentirsi sola.”

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