Lo hanno gambizzato perché faceva rumore sotto casa loro. E “loro” sono i fratelli Muscedere, un cognome che conta al Laurentino 38. Per quei fatti, accaduti nella notte tra il 26 e il 27 settembre 2023, Cristian e Tiziano Muscedere sono stati condannati ieri a cinque anni e quattro mesi di reclusione. #Laurentino38 #Sparatoria #Giustizia
Lo hanno gambizzato perché faceva rumore sotto casa loro. E “loro” sono i fratelli Muscedere, un cognome che conta al Laurentino 38. Per quei fatti, accaduti nella notte tra il 26 e il 27 settembre 2023, Cristian e Tiziano Muscedere sono stati condannati ieri a cinque anni e quattro mesi di reclusione. I due erano stati inizialmente accusati di tentato omicidio di A.C. dal pm Edoardo De Santis, reato poi derubricato in lesioni personali aggravate. Nel corso della stessa indagine è rimasta coinvolta anche un’altra persona.
Si tratta di Vincenzo Bevilacqua: il giovane, estraneo ai fatti della sparatoria, è stato chiamato a rispondere di cessione di sostanze stupefacenti, porto d’armi abusivo e ricettazione: per lui, la pena è di sei anni e due mesi di carcere.
Tutto è cominciato la notte tra il 26 e il 27 settembre 2023. Una sparatoria “all’ultimo ponte”, nel quartiere Laurentino 38. Il ferito, 30 anni, arriva poco dopo l’una al pronto soccorso dell’ospedale Sant’Eugenio: dice di non sapere chi gli ha sparato, nemmeno il motivo.
Saranno le intercettazioni a permettere a chi indaga, sotto il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia, di ricostruire l’intera vicenda. Inutili i tentativi di parenti e amici di parlare “a gesti”, passandosi “i pizzini” di mano in mano all’interno della camera dell’ospedale dove è ricoverato il 30enne ferito, per evitare di venire ascoltati dagli agenti. Le conversazioni vengono carpite lo stesso dagli investigatori, che riescono così a risalire agli avvenimenti di quella sera. La vittima sarebbe uscita a Spinaceto con un amico.
Dopo aver abusato di alcol e droga, i due “arrivano all’XI ponte all’interno del quartiere Laurentino 38”. Ed è là, esattamente sotto casa dei fratelli Muscedere, che il 30enne comincia a strillare. La reazione degli inquilini non si fa attendere: “Ao non devi fa caciara qui sotto, noi qui ce lavoriamo”, si affaccia uno dei due.
Era stata la stessa persona offesa, sempre nel corso delle intercettazioni, a riconoscere involontariamente le sue ‘responsabilità’: “Gli ho fatto casino sotto casa, questi lì hanno la piazza (di spaccio)”. Dopo un breve allontanamento, però, la vittima torna sotto l’abitazione. A quel punto i fratelli scendono per strada. Prima la rissa con Tiziano, poi i colpi sparati da Cristian. Uno per terra, due alla gamba destra dell uomo. Per questo i fratelli Muscedere – difesi dall’avvocata Veronica Paturzo – erano finiti a processo con l’iniziale accusa di tentato omicidio: ieri la sentenza che ha riqualificato l’ipotesi originaria in quella di lesioni aggravate dall’uso dell’arma. “Il giudice – ha commentato Paturzo – ha correttamente ritenuto l’insussistenza del dolo alternativo, richiesto invece quale presupposto necessario dell’ipotesi di tentato omicidio inizialmente contestata. Mi ritengo soddisfatta della sentenza”.
Ma a finire in mezzo alla vicenda, anche se non direttamente coinvolta nella sparatoria, c’è anche una terza persona: pizzicato dalle intercettazioni, Vincenzo Bevilacqua, amico e compagno di pugilato della vittima, “sarebbe riconducibile – per gli agenti – a un’attività di detenzione e traffico di stupefacenti”.
Il 32enne, difeso dall’avvocato penalista Gianluca Tognozzi, oltre a pianificare una qualche forma di vendetta, si sarebbe infatti lamentato delle “perdite economiche”. L’attenzione di media e forze dell’ordine dopo la sparatoria, infatti, avrebbe portato alla diminuzione dei traffici, con tanto di fermi di soggetti a lui vicini: “M’hai fatto perde tre pacchi (di cocaina)”, avrebbe detto in una delle conversazioni captate. Anche lui ha chiesto e ottenuto di essere giudicato con l’abbreviato per le accuse di spaccio e detenzione illegale di arma da fuoco: il giudice lo ha condannato a sei anni e due mesi di reclusione.