#Frascati #EroeLocale #GiovaniInPericolo Una infermiera di Frascati salva un ragazzo di 17 anni accoltellato da un 14enne. La scena da film d’azione in cui l’intervento di una madre diventa cruciale per strappare un giovane alla morte. Una storia che fa riflettere sulla sicurezza dei nostri ragazzi.
«Pregavo affinché si salvasse, non poteva sentirmi, aveva perso conoscenza ma per almeno dieci minuti con un’ostetrica abbiamo fatto il massaggio cardiaco». Minuti che sembravano delle ore, fra le grida di altri ragazzini, il frastuono delle sirene di carabinieri e polizia, il buio che pure c’erà la sera del 29 marzo scorso lungo i “vialoni” di Frascati. Caterina, 50 anni, (la chiameremo così perché chiede l’anonimato) è un’infermiera e lei, insieme a un’ostetrica, hanno strappato via dalla morte il giovane Matteo, (nome di fantasia) 17 anni ancora da compiere, colpito al cuore da un coltello tenuto in mano da un 14enne poi arrestato e accusato di tentato omicidio. «Il mio lavoro mi porta a misurarmi con situazioni estreme – racconta Caterina – ma un conto è farlo in un ambiente ospedaliero, con tutti i dispositivi del caso, un conto è farlo in strada, a mani nude».
Sulle sue mani è rimasto per giorni il sangue dell’adolescente. «Non avevo guanti, non avevo nulla, pur lavandomi il suo sangue è rimasto per giorni e lui è ora parte di me». Matteo arrivato in condizioni disperate al policlinico di Tor Vergata è stato operato d’urgenza. La lama di quel coltello da cucina, lunga 20 centimetri, lo ha colpito una sola volta ma tanto è bastato per perforare un polmone e toccare il cuore. Pochi millimetri e avrebbe preso anche l’aorta e Caterina con l altra donna non avrebbero potuto fare nulla.
Voglio Incontrarlo
Ora Matteo è uscito dalla Terapia intensiva, grande è stata l’attenzione dell’equipe di cardiochirurgia che lo ha operato. “Grande” è stato anche lui. «Spero di vederlo presto – prosegue l’infermiera – lo abbraccerò sicuramente e gli dirò Dio ti ha dato un altra opportunità, fai attenzione».
Quella sera Caterina, anche lei residente a Frascati, aveva accompagnato i suoi figli in piazza. «Qui è così che si incontrano le comitive durante il fine settimana ma io ero rimasta nei paraggi, non so mi sentivo come un presentimento. Poi a un certo punto, ero in auto, ho visto delle pattuglie dei carabinieri che mi superavano a tutta velocità e mi sono allarmata. Ho chiamato mio figlio e lui mi ha detto che c’era un ragazzo che stava male. Ma sono andata lo stesso, ho parcheggiato e mi sono fatta largo fra i ragazzi». Così Caterina è arrivata ai “vialoni”. «Su Matteo c’era già quella ragazza che vorrei tanto incontrare che stava provando a rianimarlo, ci siamo date il cambio, lui era incosciente, perdeva molto sangue è andato più volte in arresto cardiaco e quando succede e il paziente viene poi stabilizzato c’è sempre il pericolo che riporti dei danni cerebrali e neurologici. Non mi sono resa conto del tempo che passava, massaggiavo, lo rianimavo, fino a quando è arrivata l’ambulanza. Operare in ambito ospedaliero ha un peso essere su un campo di battaglia ne ha un altro». E quella sera Caterina ha affrontato una battaglia. «Gli avrei dato al massimo 15 anni, è solo un ragazzino e mentre massaggiavo io pregavo, sa, sono molto credente ho chiesto a Dio di non farlo morire. Lui non si è mai ripreso, ho raccolto i dati su di lui mentre massaggiavo dopodiché sono intervenute le unità di soccorso, è venuta la collega con un defibrillatore, lo hanno portato a Tor Vergata, una struttura di riferimento capace di accogliere questo paziente. Finora non ho voluto parlare perché le sue condizioni erano molto gravi, ma è stato tirato fuori dal mondo dei morti, c’è stata un’evoluzione medica eccezionale».
Cogliere i Segnali di Disagio
Su come si sia arrivati a quella sera Caterina esprime rammarico e profonde riflessioni, di donna e di madre. «Non si possono delegare sempre gli altri: la scuola, le forze dell’ordine. A guardare i miei figli in primis devo pensare io che sono il genitore, ma in questa vicenda di questi due ragazzi adolescenti, dietro ci sono delle famiglie che non sono sbandate. Le regole che viaggiano fra i giovani sono a volte difficili da decifrare, quando ero lì che ho capito come Matteo fosse stato colpito da un altro minore mi sono detta “è una pazzia” poi ho chiesto. C’è del disagio che probabilmente non è stato colto e per questo serve prevenzione prima ancora dell’aumento dei controlli dopo fatti del genere. Si deve agire prima, ci si deve impegnare a comprendere e a guidare i giovani, io ho fatto quello che doveva essere fatto ma tutti noi siamo abilitati a intervenire, lo possiamo fare, lo dobbiamo fare».