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Cronaca

Papà-orco condannato a 20 anni per violenze su moglie, ex e figlio 12enne

Vent’anni di carcere per un sessantenne di Tivoli che ha abusato sessualmente della figlia fin da quando era bambina e ha sottoposto la moglie a ogni tipo di violenza. La condanna è stata emessa dal tribunale di Tivoli dopo un’indagine partita da una denuncia della madre. #cronaca #violenza #giustizia

Vent’anni di carcere per avere abusato sessualmente della figlia, sin da quando era poco più che una bambina, e per aver sottoposto la moglie a violenze di ogni tipo. Si è chiusa con una pesante condanna di primo grado al tribunale di Tivoli la storia agghiacciante di un papà-orco, oggi sessantenne, scoperchiata due anni fa dagli investigatori del pool anti-violenza del commissariato locale. L’arresto arrivò dopo due mesi di indagini serrate partite con la denuncia choc della mamma, che un paio di anni prima aveva trovato la forza di separarsi ma che non immaginava quell’orrore. Ad aprire la breccia nel silenzio per la dodicenne una lezione di educazione sessuale a scuola. Dopo, tornando verso casa, cominciò a dire qualcosa a una compagna, innescando una catena virtuosa tra mamme che portò alla denuncia. Durante le perquisizioni nella stanzetta della piccola, nascosti dentro un orsetto di peluche, i poliziotti trovarono alcuni preservativi. Poi fatti, circostanze, audizioni protette, certificazioni mediche e testimonianze, tratteggiarono «una personalità violenta e prevaricatrice, senza rispetto alcuno per il genere femminile, rivelatrice dell’incapacità di reprimere le pulsioni lesive dell’altrui integrità fisica e psicologica, oltre che indifferente ai legami familiari e della convivenza civile». Commento: sembra che l’educazione sessuale a scuola sia più utile di quanto pensassimo, vero?

Pugni in faccia alla figlia e lei da allora non può più masticare: condannato a Perugia. Alla moglie aggressioni, persino in gravidanza, violenze e abusi continui, anche il sesso davanti a lui con altri. Fino a cospargerla di alcol per poi minacciarla con un accendino. Gli scatti di rabbia non risparmiavano la figlia: «Una volta -il racconto della mamma – le rovesciò addosso un secchio di vernice. Nemmeno gli occhi si vedevano. Li ho puliti per giorni col collirio. Dentro aveva il terrore». Sue vittime anche la precedente compagna e il loro figlio che aveva 12 anni quando gli sparò alla gamba con un fucile a piombini: «Non mi volle portare in ospedale, diceva che il proiettile era uscito. E invece, anni dopo, da una lastra risultò che era ancora lì».

I PROVVEDIMENTI

Il collegio, presieduto da Nicola Di Grazia, è stato più duro della procura che aveva chiesto 19 anni. Il sessantenne, oltre ad essere stato privato della potestà genitoriale, è stato condannato anche all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, da qualunque incarico nelle scuole e da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno. E, dopo la pena, libertà vigilata per tre anni. Riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, e intanto ad una provvisionale di 50mila euro.

«La sentenza – commenta l’avvocato delle parti civili, Deborah Soria – ha riconosciuto dignità alle vittime. Il loro coraggio ha trovato il sostegno di una rete di protezione efficiente: dal pool specializzato della polizia di Stato, all’epoca coordinato dal commissario Davide Sinibaldi, sino alla procura di Tivoli. Di concerto hanno fornito al tribunale prove decisive, testimoniali e documentali. Il tragico spaccato di vita ha trovato conferma in un dispositivo che ha ridato loro fiducia nel sistema giudiziario, ma che, tuttavia, – ha aggiunto – dovrebbe essere sostenuto anche da una politica di prevenzione e recupero dei soggetti maltrattanti e violenti, elemento che, purtroppo, ancora risulta carente nel nostro ordinamento». A confermare quanto ci sia bisogno di fare sempre più rete è proprio il commissario Sinibaldi, da qualche mese in pensione: «Si tratta di un lavoro enorme di sinergia. Serve sostegno, ma soprattutto protezione. Non abbassare mai la guardia, per infondere fiducia nelle vittime, far capire che devono chiedere aiuto. Pensare di poter gestire da sole situazioni più grandi di loro può essere un errore fatale, come dimostrato dagli ultimi femminicidi. C’è bisogno di punti di riferimento certi. Oggi a dare continuità al pool del commissariato ci sono il sovrintendente Tanino Volpe e l’ispettore Fabio Salviani». Commento: sembra che il sistema giudiziario abbia fatto il suo dovere, ma la prevenzione? Quella è ancora un miraggio nel nostro paese.

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