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CORONAVIRUS Fontana attacca Conte ma non ha ordinato nessuna mascherina
CORONAVIRUS Fontana attacca il premier Conte ma non ha ordinato nessuna mascherina.
Il governatore della Lombardia Attilio Fontana attacca il governo Conte per essere rimasto fermo per 25 giorni di fronte all’emergenza coronavirus. Proprio però come fatto dalla Lombardia, la regione che sta pagando il prezzo più alto. Nonostante le rivendicazioni di Fontana e l’assessore Giulio Gallera i documenti mostrano come la lentezza della giunta abbia lasciato senza protezioni i medici. E con loro i pazienti che affollano gli ospedali lombardi e quelli che, pur malati, sono a casa. La corsa alla costruzione dell’ospedale in Fiera ma anche la caccia a dispositivi di protezione sono tentativi di mettere una pezza. Ma le responsabilità sono da ricercare a monte.
A far emergere le lacune della giunta Fontana, che invece attacca Conte, è una interrogazione di Elisabetta Strada e Niccolò Carretta (Lombardi Civici Europeisti). I due ricostruendo le mosse delle Regione tra febbraio e marzo hanno chiesto il perché sono “mancati un piano emergenza lombardo e la consegna, per tempo, dei DPI al personale sanitario”. Fontana si è difeso attaccando Palazzo Chigi. “Il vostro presidente del Consiglio, il 3 febbraio, disse: ‘non preoccupatevi, non dovete prevedere nessuna pandemia perché il nostro sistema è pronto ad affrontare qualunque tipo di emergenza’”, ha detto. Il governatore, però, ha sorvolato sul fatto che la sanità sia di competenza regionale. Il governo ha sbagliato ma la Lombardia forte della propria autonomia avrebbe potuto mettersi al riparo salvando la vita a migliaia di persone. Eppure i segnali c’erano.
Il 23 gennaio inviarono a tutti i gestori della sanità lombarda la nota del Ministero della Salute sulla “polmonite da nuovo coronavirus in Cina”. In particolare, relativamente alla presa in carico del paziente si chiedeva di “verificare la presenza di una procedura che descriva percorsi e spazi all’interno della struttura ospedaliera e le procedure di isolamento. Si raccomanda inoltre di verificare la disponibilità dei DPI indicati nella circolare Ministeriale”. Il 31 gennaio il governo dichiarava lo Stato d’emergenza per sei mesi lasciando poi calare il silenzio (al netto di un aggiornamento il 7 febbraio). Il 23, quando il primo caso di coronavirus in Italia è ormai conclamato a Codogno, dalla direzione generale Welfare della Lombardia partono due email.
La prima elenca i materiali che l’Ats deve fornire ai “medici di medicina generale e ai pediatri di libera scelta continuità assistenziale”. La seconda chiedeva una mappatura dei posti letti. Praticamente tra il 23 gennaio e il 23 febbraio nessuno in Lombardia, neppure dopo la dichiarazione dello stato d’emergenza nazionale, si è preoccupato di fare una ricognizione dei posti letto ospedalieri o una valutazione dei dispositivi necessari a garantire la salute dei medici. A complicare le cose il 25 febbraio in un’altra email si comunicava alle aziende sanitarie che la Regione aveva attivato Aria – l’azienda regionale per l’innovazione e gli acquisti, una sorta di Consip lombarda, ndr – per tutti gli acquisti concernenti i dispositivi e kit. Una messa in moto che sarebbe dovuta avvenire all’indomani della dichiarazione dello stato d’emergenza.
Soprattutto perché il 25 febbraio si spiegava che “dovevano essere messi in atto tutti i sistemi di protezione da contagio per il personale sanitario. Con approvvigionamento e distribuzione di sufficiente numero di presidi e con adeguato training di tutto il personale a rischio contatto”. Peccato che la decisione della Regione abbia comportato un ritardo negli approvvigionamenti. Inoltre, con l’avanzare del contagio a livello globale, si è fatto sempre più difficile trovare fornitori con magazzini pieni. Infine i prezzi sono schizzati alle stelle. In seguito è accaduto che il Pirellone ha firmato un ordine per 4 milioni di mascherine che, come aveva assicurato il governatore lombardo Attilio Fontana, sarebbero dovute arrivare entro il 27 febbraio. Ma quelle mascherine non sono mai arrivate, tanto che il 2 marzo la Regione annullò il maxi ordine.
Secondo la versione ufficiale perché il “fornitore non è in grado di adempiere agli obblighi assunti”. Secondo il giornalista perché le aziende non producevano più quel tipo di presidi medici. Quindi un ordine sbagliato. Un errore dopo l’altro, come quello che ha lasciato senza alcun tipo di protezione di medici di base che solo il 23 marzo, hanno ricevuto in dono 5.000 mascherine dal Comune di Milano. “Negli ultimi due anni – concludono Strada e Carretta in attesa della risposta alla loro interrogazione – in più occasioni abbiano sollevato la necessità di strutturare e far partire un piano emergenza per affrontare le eventuali crisi, attacchi terroristici o altri fatti straordinari in ambito sanitario. E il 30 ottobre scorso abbiamo affrontato ancora una volta la mancanza di un piano di emergenza operativo e attuativo in Lombardia”.
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