Cronaca
Alessia Sbal uccisa sul Raccordo, niente sconto di pena, confermata la condanna del camionista: la giustizia non perdona

La madre di Alessia Sbal ripete "Giustizia è fatta, giustizia è fatta" fuori dall’aula. Confermata la condanna a 8 anni per Flavio Focassati, il camionista che travolse la giovane sul GRA. Rifiutata la riduzione della pena. #GiustiziaFatta #OmicidioStradale #Cronaca
La madre di Alessia Sbal ha ripetuto due volte "Giustizia è fatta, giustizia è fatta" all’uscita dall’aula dove i giudici della prima sezione penale della Corte d’Appello hanno pronunciato la sentenza relativa alla morte della ragazza, travolta da un tir sul Grande Raccordo Anulare il 4 dicembre 2022. Rigettata la richiesta di concordato che avrebbe portato a una riduzione della pena a sei anni di carcere per il camionista che ha investito la giovane, Flavio Focassati. I giudici hanno quindi confermato la sentenza di primo grado, condannandolo a otto anni di reclusione per omicidio stradale e omissione di soccorso.
Alessia Sbal, procura generale non contesta l’omissione di soccorso: "Era già morta". Caos in aula.
Ilaria Sbal, la sorella della vittima, ha commentato: "Anche oggi la difesa ha messo in discussione mia sorella, sono contenta che invece la Corte le abbia dato il suo posto nel mondo".
Prima il pianto liberatorio, poi l’abbraccio stritolante con gli amici sempre presenti per sostenere la famiglia in questo difficile percorso. Così la madre e la sorella di Alessia Sbal hanno accolto la sentenza che ha messo la parola fine alla vicenda giudiziaria iniziata ormai tre anni fa. Un “banale” tamponamento trasformatosi in tragedia.
Era il 4 dicembre 2022 quando Alessia Sbal e Flavio Focassati si fermarono in una piazzola di emergenza sul Grande Raccordo Anulare per discutere dopo un lieve incidente avvenuto poco prima, all’altezza dell’uscita Casalotti-Boccea. Ma quando la donna chiamò il numero d’emergenza per segnalare la targa del camion, il 49enne salì nuovamente a bordo e ripartì, travolgendola. Alessia Sbal morì sul colpo. Proprio intorno a questa circostanza ruotava la richiesta di concordato proposta dalla difesa, e accolta dalla procura generale nel corso della scorsa udienza: una riduzione della pena per il camionista, condannato a otto anni in primo grado, perché non sarebbe stato possibile contestare a Flavio Focassati anche l’omissione di soccorso, in quanto la vittima era morta all’istante. Richiesta che, però, oggi non è stata accolta dai giudici d’Appello.
Lucia Catalini, la legale della famiglia Sbal, ha commentato: "Non è passato il concordato – siamo soddisfatti, insieme alla famiglia, che la Corte abbia letto attentamente gli atti e abbia confermato la sentenza di primo grado. Per noi è una grande vittoria giuridica, ma anche umana e morale".
Cronaca
Bambino di un anno lasciato solo in auto: i carabinieri intervengono rompendo il vetro per liberarlo

Una madre kazaka lascia il suo bimbo di 1 anno a “cucinare” in auto per portare l’altro a calcio: i carabinieri intervengono, sfondano il finestrino e salvano il piccolo da un bel guaio. Ma davvero pensare che qualche minuto basti? #FailGenitoriale #RomaPazza #BambiniInPericolo #ScandaloMamma #ViraleRoma (152 caratteri)
Il drammatico salvataggio
Un bambino di appena un anno è stato lasciato da solo in un’auto parcheggiata e chiusa a chiave, con i finestrini alzati e nessun modo di uscire. La scena si è svolta in pieno pomeriggio, e per fortuna un passante ha notato il piccolo in evidente difficoltà, allertando i carabinieri. I militari non hanno perso tempo: hanno rotto il vetro dell’auto, liberato il bimbo e atteso l’arrivo della madre. Insomma, un intervento da eroi contro una distrazione che poteva finire male – perché chi lascia un toddler al forno su quattro ruote merita un premio Darwin?La spiegazione della madre
La donna, di nazionalità kazaka, ha ammesso ai carabinieri di aver lasciato il figlio da solo “per qualche minuto” mentre accompagnava l’altro figlio alla scuola calcio. La vicenda è accaduta martedì 15 aprile in via Vigna Fabbri, vicino alla polisportiva De Rossi, nella zona di Furio Camillo. Ma attenzione: alcuni testimoni giurano che l’assenza sia stata ben più lunga di quanto dichiarato. Insomma, tra una palla al piede e un bimbo dimenticato, pare che la mamma avesse le priorità un po’ confuse – chissà se stava seguendo un corso di genitorialità “creativa”.
Le azioni successive
I carabinieri, non del tutto convinti dalla versione della madre, hanno informato l’autorità giudiziaria per approfondire l’accaduto. Il bambino, una volta estratto dall’auto, è stato affidato di nuovo alla donna. Ma questa storia ci fa pensare: in una città caotica come Roma, lasciare i figli in balia dell’asfalto bollente è un’idea geniale o solo una scusa per non badare al resto? I dettagli emergono, e chissà se finirà in un meme virale o in tribunale.
Cronaca
Strage di Fidene: oggi la sentenza per Claudio Campiti

È arrivato il momento della verità per Claudio Campiti, il tizio che ha fatto una carneficina uccidendo quattro donne – tra cui l’amica della nostra premier Giorgia Meloni, Nicoletta Golisano – e tentando di far fuori altre, rischiando ora l’ergastolo per questa follia. Tre anni dopo la strage di Fidene, lo Stato si sveglia dal suo solito torpore, ma chissà se pagheranno davvero tutti i responsabili. #StrageFidene #GiustiziaAllaMeloni #ErgastoloSubito #FailDelloStato
La strage e le vittime
Claudio Campiti è accusato di aver scatenato l’inferno a Fidene, massacrando Nicoletta Golisano, Elisabetta Silenzi, Sabina Sperandio e Fabiana De Angelis, mentre provava a finire altre quattro donne. Rischia l’ergastolo per questi omicidi brutali, con la procura che lo dipinge come un pazzo organizzato. Intanto, i familiari delle vittime, come il marito di una delle donne uccise, urlano al mondo che lo Stato ha calpestato il loro dolore con la solita burocrazia inefficiente.Il piano diabolico e la fuga fallita
Campiti aveva architettato tutto nei minimi dettagli, furbo come un criminale da film: l’11 dicembre 2022, ha deciso di sfogare la sua rabbia contro i vicini del consorzio Valleverde, durante una noiosa riunione di condominio. Ha rubato una Glock 41 dal poligono di Tor di Quinto, completo di caricatori extra, coltelli e persino un piano per scappare all’estero. I carabinieri e il pm Giovanni Musarò hanno smontato questa follia omicida, ma ci si chiede come diavolo sia potuto succedere in un paese dove le armi volano via come noccioline.
La difesa gioca la carta del disturbo mentale
La difesa di Campiti chiede l’assoluzione per vizio totale di mente, sostenendo che soffre di un disturbo delirante persecutorio, che lo renderebbe incapace di capire cosa sta combinando. Insomma, un modo elegante per dire: “Non è colpa sua, è matto”. Ma suvvia, in un mondo dove tutti hanno un problema mentale per scampare alla galera, questa scusa non puzza un po’ di lavaggio?
Gli altri imputati e le falle del sistema
Non è solo Campiti a finire sotto accusa: Bruno Ardovini, ex presidente della Sezione tiro a segno nazionale di Roma, e Giovanni Maturo, un dipendente del poligono, rischiano rispettivamente 4 anni e 1 mese e 2 anni di carcere per aver chiuso un occhio su quelle armi. Dieci mesi prima della strage, la polizia aveva già segnalato buchi grossi come crateri nel poligono di Tor di Quinto – incidenti come suicidi e furti d’armi ignorati – ma nessuno ha mosso un dito. “Una svista”, dicono, come se gestire armi fosse una passeggiata al parco. Ecco la vera domanda: chi paga per queste magagne dello Stato?
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