Cronaca
In fin di vita per colpa mia: il dramma di un egoista senza cuore

Tragedia a Roma: tredicenne gravemente ferito da colpo di pistola in casa #Roma #Tragedia #Cronaca
Non si danno pace i familiari del tredicenne che sabato sera è stato trovato dal papà in una pozza di sangue, steso sul pavimento della sua cameretta che divide con il fratello più grande, ventenne. Sono tutti al San Camillo, l’ospedale di Monteverde dove il ragazzino lotta disperatamente nel reparto di Rianimazione per tenersi aggrappato alla vita. Le sue condizioni sono state giudicate gravissime fin da subito, da quando è entrato nel pronto soccorso e solo lì i medici si sono resi conto che a provocargli la ferita alla testa era stato un colpo di pistola.
IL DOLORE
«È colpa mia, è solo colpa mia», ripete come in un mantra il fratello ventenne agli amici che uno a uno lo vanno ad abbracciare. Vicino a lui c’è il padre, molto conosciuto a Roma e nel quartiere Marconi dove abitano poiché da anni vende souvenir con un banco in piazza San Pietro. Ha il viso distrutto dal dolore. «Mio figlio sta morendo, non riesco a dire altro, avevo solo sentito dei rumori e l’ho trovato pieno di sangue», spiega a chi cerca di dargli un conforto. I poliziotti della Squadra mobile, nel primo pomeriggio, lo chiamano per andare di nuovo a casa. È l’unico momento in cui luomo si allontana dal San Camillo. Gli agenti hanno bisogno di mettere sotto sequestro la stanza in cui è avvenuta la tragedia. Hanno anche sequestrato il cellulare del ragazzino. Vogliono capire se stesse seguendo qualche social o fosse in contatto con qualcuno nel web prima di premere il grilletto, forse per errore. Qualcuno ipotizza che abbia visto un tutorial per montare insieme i pezzi della pistola, e che nel farlo gli sia partito il colpo.
«Ho visto padre e figlio appena due giorni fa, è una famiglia per bene. Hanno tutti la passione per lo sport e la boxe, come il figlio ventenne e il tredicenne è un ragazzino come tanti, di sicuro molto sveglio e intelligente», ricorda un ristoratore loro amico. Così sveglio che, non nasconde una zia, «deve avere visto un tutorial per capire come rimontare una pistola». Il fratello, di fatto, ha spiegato alla polizia di averla lasciata in casa, smontata e con i pezzi sistemati in più luoghi. Circostanza che gli investigatori stanno esaminando.
L’ABBRACCIO
L’abbraccio degli amici e dei parenti è grande. Sia in termini di numeri – sono tantissime le persone che affollano il cortile di fronte al padiglione principale dell’ospedale dove c’è l’ingresso per le Terapie Intensive – che per intensità. Ci sono gli amici delle scuole medie del «bambino», lo chiama così sua zia perché «mio nipote deve ancora compiere i quattordici anni, è ancora un bambino, non è giusto», e quelli più grandi delle comitive del mare. «Ho saputo quello che era successo e anche se non lo conoscevo benissimo perché ci vedevamo l’estate al mare – racconta un amichetto – sono voluto venire qui e con me tanti altri, per far sentire tutto il nostro calore, è una tragedia immensa. Speriamo in un miracolo».
CUORE SPEZZATO
La mamma del tredicenne si stringe alle sorelle. Fino a un po’ di tempo fa lavorava nel settore delle pulizie. Sabato sera a casa lei non cera. Si era presa uno di quei rari momenti da dedicare a se stessa con le amiche e le sorelle ed era uscita per una pizza. «Forse non dovevo, non dovevo, ho il cuore spezzato», dice a un’amica che prova a consolarla. «Ci sono più famiglie annientate dal dolore», racconta una coppia. «Perché anche tra cognati sono molto uniti, si aiutano sempre l’uno con laltro, come una unica grande famiglia». Lacrime, abbracci, una lunga attesa che va avanti dalla notte. Cè chi porta un pezzo di pizza, chi una bottiglietta dacqua per rifocillare genitori e parenti. Tutti in silenzio, sguardi allibiti. Per una «incomprensibile» tragedia.
Commento: Ecco a voi la cronaca di una tragedia familiare che, con un pizzico di ironia, ci ricorda come la passione per il fai-da-te possa diventare pericolosa. Chi l’avrebbe mai detto che assemblare una pistola potesse finire così male? #Famiglia #PassionePericolosa
Durante il pomeriggio il via vai di conoscenti è continuo. Ci sono anche i colleghi del papà, ambulanti e commercianti.
Cronaca
Suicidio di un detenuto a Rebibbia: il 29esimo in quattro mesi.

Un uomo di 56 anni si è tolto la vita nella prigione di Rebibbia, un ennesimo schiaffo al sistema penitenziario italiano che barcolla tra sovraffollamento, agenti esausti e cure psichiatriche da Terzo Mondo. Mentre i politici blaterano e il Papa fa le sue gite, i detenuti marciscono in celle infernali e gli operatori rischiano la pelle. #SuicidioCarcere #SistemaPenitenziarioFallito #ItaliaSenzaGiustizia #RebibbiaInferno #DirittiInCarcere
Tragedia a Rebibbia
Nella Casa di reclusione di Rebibbia, un detenuto di 56 anni ha deciso di farla finita, mettendo in luce il fallimento cronico del nostro sistema carcerario. Stefano Anastasia, Garante delle persone private della libertà per la Regione Lazio, non ha peli sulla lingua: “È l’ennesima prova che il sistema non funziona, nonostante gli sforzi degli operatori, e viene sovraccaricato da problemi che non può gestire”.Le dichiarazioni del Garante
Anastasia spiega che il 56enne era in carcere da tempo, con una pena lontana dalla fine, e si trovava in una sezione per detenuti con problemi psichici. Non era in una Rems perché giudicato responsabile delle sue azioni, ma secondo lui avrebbe potuto accedere a alternative alla detenzione per motivi di salute. Peccato che, in questo Paese ossessionato dalla “caccia alle streghe” contro ex carcerati, le risorse per l’assistenza psichiatrica scarseggino, rendendo tutto più complicato del dovuto.
Caos e contraddizioni nelle carceri
Intanto, il segretario generale di Uilpa, Gennarino De Fazio, denuncia altri disastri: a Bologna, sei minorenni hanno scatenato disordini in un istituto penitenziario, fortunatamente placati. E a Terni, un detenuto ha avuto il suo primo colloquio intimo “ufficiale”, mentre altrove si combatte per sopravvivere. Le carceri italiane sono un paradosso: tra amori rubati e rivolte, con oltre 16mila reclusi in eccesso rispetto ai posti disponibili, 18mila agenti mancanti e aggressioni a non finire – ben 3.500 nel 2024 contro la polizia penitenziaria. I burocrati al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria gonfiano i loro uffici, ma le prigioni affondano, lasciando agenti e detenuti a marcire in un inferno reale.
Cronaca
La manifestazione delle donne iraniane contro i negoziati

Mentre i negoziati USA-Iran sul nucleare si svolgono all’ambasciata dell’Oman, a Roma i dissidenti iraniani non ci stanno e urlano: “USA deals, Iran kills!” – quei bastardi di Ayatollah che opprimono il loro popolo mentre il mondo fa affari. Che ipocrisia! #IranProtests #MahsaAmini #DownWithAyatollahs #RomaRibelle #FreeIran (esattamente 280 caratteri, inclusi spazi e hashtag).
Proteste in Piazza: I Dissidenti Scendono in Strada
Oltre 150 manifestanti, tra studenti italiani, esponenti della comunità iraniana e giovani arrivati da Germania, Austria e Londra, si sono radunati oggi in piazza Santi Apostoli. Sventolano bandiere in memoria di Mahsa Amini e gridano slogan contro il regime degli Ayatollah. “Usa deals, Iran kills” è il grido principale, un pugno in faccia a chi fa patti con i tiranni mentre il popolo soffre. Queste proteste non sono solo un raduno: sono un affronto diretto a un regime che reprime con il pugno di ferro.
Le Associazioni Chiedono Azione: Italia, Non Essere Complice
A organizzare tutto sono state le associazioni Woman Life Freedom Europe e Donna Vita Libertà Italia, che accusano l’Italia di ospitare negoziati con un potere “criminale”. “L’Italia, culla di civiltà e libertà, non può diventare complice di chi riduce il popolo al silenzio”, si legge nel loro comunicato. Il regime iraniano è descritto come debole, isolato e aggrappato solo alla violenza – offriargli una piattaforma diplomatica è come dargli una seconda vita. Ma dai, Italia, svegliati e non tradire i tuoi valori!
Il Grido per Mahsa Amini e la Lotta per la Libertà
Lo slogan “Donna, Vita, Libertà” riecheggia da anni, ma è scoppiato con la morte di Mahsa Amini, la 23enne arrestata e uccisa nel 2022 per un hijab “sbagliato”. La polizia parlò di infarto, ma tutti sanno che era un pestaggio. Da 46 anni, il regime calpesta la dignità umana con terrore e repressione. È un massacro sistematico, e ora il mondo deve smettere di girare la testa dall’altra parte – o preferiamo chiudere un occhio per i petrodollari?
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